Il lato oscuro della musica leggera di Cremonini

Con Padroni di casa di Gabbriellini, Cesare Cremonini assieme a Roberto e Pilia svela la tensione che si cela dietro la musica di Gianni Morandi.

L’eterno ragazzo, la faccia pulita che da 50 anni si fa mandare dalla mamma a prendere il latte. Gianni Morandi fa ritorno da protagonista o quasi al cinema dopo più di 30 anni. E Padroni di casa di Edoardo Gabbriellini, il film che lo rimette in scena, sembra volerne svelare – tra le varie cose – il lato oscuro, anche musicalmente, grazie al lavoro di Gabriele Roberto e Stefano Pilia e alle canzoni scritte da Cesare Cremonini. 

Il cantautore ex-leader dei Lunapop, alla prima prova musicale per il cinema, realizza assieme ai due compositori una partitura che mescola, esattamente come il film, l’anima popolana del contesto, tra folk e classica musica da commedia, venandola di vene nere sempre più spesse, che arrivano poi al tragico inale. Ma il vero colpo di genio musicale, Cremonini ce l’ha nello scrivere le 2 canzoni che Morandi, in un ruolo che infondo rilegge la propria carriera seppur con toni sgradevoli, canterà nel concerto di ritorno sulle scene che fa da perno al film.

Il grande classico e l’inedito, come ogni comeback che si rispetti: Lascia il sole è una tipica canzone pop anni ’60, dal testo allegro e romantico e dal ritornello che si pianta diabolicamente in testa, come se fosse una vera canzone vecchio stile di Morandi; Amor mio invece, già contenuta nella Teoria dei colori, il più recente disco di Cremonini, è il singolo con cui Fausto Mieli (Morandi nel film) si rilancia, dedicando un pezzo maturo e struggente alla moglie inferma. Ma proprio questo brano, in contrasto con le immagini della moglie e della personalità del personaggio, aiuta lo spettatore a scoprire attraverso il contrasto musica-immagini il lato nero della personalità dell’istrione – abile a mettersi in gioco -, di quel tipo di musica e del contesto socio-culturale in cui tutto il film è ambientato.

Oltre alla riuscita del film, fa piacere per il cinema italiano un uso teorico del modernariato – anche se qui sono canzoni originali – non semplice ricalco o utilizzo à la page, ma modo per parlare di un’epoca e per svelarne, attraverso la musica, le contraddizioni. Complimenti per questo a Gabbriellini e Cremonini, meno sterilmente pop di quanto vorrebbero sembrare.