Sylvia Kristel: Emmanuelle e le frontiere del vedibile

Scompare a soli 60 anni un'icona sexy anni '70, indissolubilmente legata al personaggio di Emmanuelle, che ritornò più volte a interpretare.

Se si può discutere a lungo sulle diverse qualità del cinema erotico e sulle reali necessità artistiche di un filone intimamente impastato a finalità commerciali (o addirittura socio-sanitarie), è pur vero che specialmente a partire dagli anni ’70 esso si trasforma in un ineludibile fenomeno di costume. Spostando sempre più avanti il confine del narrabile e del vedibile, il cinema erotico ha forse portato con sé un contributo indiretto anche al cinema d’autore, che ha potuto a sua volta permettersi libertà di racconto prima impossibili. E’ ovvio che si devono fare delle distinzioni; tutto ciò che, soprattutto in Italia, era bollato “a luci rosse”, non rientrava sempre sotto quell’etichetta. Ultimo tango a Parigi (1972) fu condannato al rogo, ma oggi nessuno si sognerebbe di liquidarlo come filmaccio per affamate platee. Tra le varie sottocategorie, Sylvia Kristel, scomparsa ieri a soli 60 anni, ha occupato una casella importante. Benché nel prosieguo della sua carriera abbia tentato timide incursioni in altri sdogananti territori cinematografici, l’attrice olandese ha mantenuto una sorta di “coerenza artistica”. Pur diradando sempre più le apparizioni sullo schermo, la Kristel è rimasta fedele ai suoi esordi. Fedele o prigioniera, a seconda dei punti di vista. Resta il fatto che con Emmanuelle (1974) il francese Just Jaeckin segnò una tappa fondamentale del cinema non solo erotico, dando vita a un’infinita serie in cui la Kristel ritornò più volte a età diverse, e generando anche un’interminabile sequela di apocrifi in tutto il mondo (basti pensare all’italica serie di Emanuelle nera, incarnata da Laura Gemser). Tratto da una fasulla autobiografia di Emmanuelle Arsan, il film riscosse un successo planetario, adagiandosi però in una lettura audiovisiva dell’erotismo strettamente imparentata al linguaggio fotografico e pubblicitario. Una retorica soft, patinata, piuttosto lontana dalle varie trucidezze tipiche ad esempio della nostra coeva produzione interna.

Dato l’enorme successo, il sodalizio tra la Kristel e Jaeckin si riconfermò in una deludente versione cinematografica di L’amante di Lady Chatterley (1981), dove il tentativo di nobilitazione del soft-porno è rozzo e approssimativo, e per contro si perde anche la carica trasgressiva delle opere precedenti. Sylvia Kristel non ebbe particolare fortuna nelle poche occasioni di confronto con altre forme di cinema. Fece parte, a fianco di Alain Delon, del cast all-star di Airport ’80 (1979), ultimo e peggior episodio della famosa serie catastrofica, partecipò all’ultimo film di Luigi Zampa, Letti selvaggi (1979), e si trovò partner di Enrico Montesano in una trascurabile commediola, Un amore in prima classe (1980) di Salvatore Samperi. Ovviamente anche in queste modeste occasioni la Kristel non fu mai esentata dal mostrare le proprie grazie. Assurta rapidamente a icona di un’epoca e di un certo cinema, passeggiò in altri territori espressivi suscitando nel pubblico attese unidirezionali. Tuttavia, conservò sempre una profonda convinzione e dignità, come molte protagoniste di quella stagione cinematografica. E sicuramente ha ricoperto un ruolo di (in)volontaria icona contro ogni censura. Una battaglia che spesso suona fasulla perché troppo invischiata con la commercializzazione delle immagini, ma di cui per probabile riflesso ha tratto beneficio molto cinema. O, per converso, ne ha tratto solo svantaggi, dimenticando a poco a poco l’intensa espressività delle ellissi. Questione di punti di vista.

MASSIMILIANO SCHIAVONI