Il Rapporto confidenziale di Torino

Riflessioni e giudizi sulla sezione del festival di Torino dedicata quest'anno a "ossessioni e possessioni" e che si è rivelata alla fine forse lo spazio più debole del festival, salvo alcune punte.

E’ la riserva per gli amanti dell’orrore al Torino Film Festival, o almeno di chi ama le emozioni forti. E’ la sezione Rapporto confidenziale, che ogni anno dedica spazio alle visioni “estreme” o per lo meno inquietanti del festival: tema di quest’anno è stato Ossessioni e possessioni, ossia tutte le tendenze e devianze che dalla società si riversano nel cinema. Un tema talmente generico da sembrare più un alibi per una selezione del tutto eterogenea.
La fa da padrone il cinema americano, che pare anche quello più coerente con gli incubi concreti di cui si nutre la sezione: esce fuori una cinematografia che sempre più spesso riflette sulla reclusione e la schiavitù, dal serial killer paterno di Chained di Jennifer Lynch alla ladra di Compliance di Craig Zobel, segregata dai propri datori di lavoro sulla base di una falsa accusa, fino al carcere queer di K-11 di Jules Stewart, che però rappresenta una delle delusioni di Torino, per aver tramutato un possibile inferno sessuale e politicamente scorretto in una blanda favola nemmeno vagamente erotica.

Altro filone americano interessante è quello del bisogno e del rapporto con l’altro, soprattutto se malati o tossici: e sono forse i tre film migliori della sezione (escluso The Lords of Salem di Rob Zombie). Smashed di James Ponsoldt descrive il disagio di una coppia di alcolisti che si divide quando lei decide di disintossicarsi con il tocco acuto di chi sa scavare ironicamente dentro i piccoli drammi; su toni simili ma più dolci c’è Thanks for Sharing di Stuart Blumberg, mentre un’amicizia senile delicata, e venata di giallo, è quella tra un vecchio che sta perdendo la memoria e il suo nuovo badante robotico in Robot & Frank, piacevole commedia indie che mette in scena la vecchiaia senza moralismi né colpi bassi.
Più eclettiche e variopinte, giustamente, le ossessioni dal resto del mondo: in primis quella per i nuovi mezzi di comunicazione cinematografica. Videocamere, cellulari e soggettive spericolate legano i filmati sconnessi e spesso poco interessanti di V/H/S, il cellulare di Shopping Tour di Mikhail Brashinsky e soprattutto Maniac di Frank Khalfoun, un intelligentissimo remake che riflette sull’ossessione maschile per il corpo femminile. E poi sono i luoghi a generare le paure più curiose: il quartiere suburbano del pessimo Christmas with the Dead di Terrill Lee Lankford, l’Irlanda quasi arcaica di Citadel, l’isoletta dominata dai bambini del poco efficace Come Out and Play, il block periferico di Tower Block e infine la cittadina in cui tutto può succedere di Wrong di Quentin Dupieux, in cui piove negli uffici e i pittori ti colorano la macchina a tua insaputa. La brezza di follia che ravviva una sezione che quest’anno si è dimostrata, salvo alcune punte, una delle più deboli. E non solo perché il filo conduttore è pretestuoso, ma soprattutto perché la qualità non è stata brillante come altrove.