La crisi umana in Europa in concorso al Festival di Lecce

Contrasti etnici, complicate integrazioni culturali e immaturità scandinave: due film di diversa riuscita in concorso al Festival di Lecce.

Emerge a poco a poco, dalla sezione-concorso del Festival di Lecce, uno sguardo ampio sull’Europa e le sue contraddizioni. Un’Europa frastagliata, conflittuale, in cui le difficoltà socio-economiche s’intrecciano costantemente a distanze siderali che si sono aperte (o magari solo palesate dopo esser rimaste sottotraccia per un po’ di anni) nel tessuto umano di cui il Vecchio Continente è composto. L’economia va male, l’umanità segue di pari passo. Our Little Differences, passato in concorso per la regia di Sylvie Michel, è davvero un buon film, e in tal senso molto indicativo. Realizzato da una cineasta francese ma girato in Germania, anzi diremmo ben radicato nell’orizzonte sociale dell’attuale Germania, il film racconta una breve vicenda tutta racchiusa nel volgere di una giornata. Un medico facoltoso che si occupa di fecondazione in vitro, separato con un figlio adolescente, si trova a condividere un’interminabile angoscia con la sua donna delle pulizie bulgara, a sua volta con figlia a carico. I due ragazzi sono infatti usciti insieme per vedere una partita di calcio con gli amici, e non sono rientrati a casa per tutta la notte. Un piccolo evento si trasforma a poco a poco in un crescendo di tensioni, che svelano da un lato l’ipocrisia sociale e l’egoismo crudele del medico, dall’altro la vita dagli scarsi orizzonti della donna straniera in un paese ospitale solo finché non cerchi di sederti al tavolo con gli indigeni. Sylvie Michel ha il pregio di condensare in appena 80 minuti un intenso racconto di conflitti e lontananze, ovviamente con qualche didascalismo nell’opposizione netta tra le premure ansiogene della donna e la freddezza dell’uomo, ma palpitante e teso come un thriller dell’anima. Col risultato sorprendente di suscitare per tutta la durata emozioni simultanee e contrastanti: da un lato commedia sociale, dall’altro racconto di angosciosa suspense.

Più impalpabile e inconcludente, invece, The Almost Man di Martin Lund, film norvegese a sua volta in concorso. Storia di un originale Peter Pan, un trentacinquenne in procinto di diventare padre che però rifiuta, a livelli quasi psichiatrici, il passaggio all’età adulta e le relative responsabilità. Benché più calato in un contesto borghese a cui il cinema scandinavo non sempre ci ha abituato, The Almost Man conserva il gusto per la provocazione cinica che spesso arriva dal Nordeuropa. Henrik, il protagonista, manifesta infatti il suo rifiuto di crescere anche attraverso una sfera sessuale piuttosto ossessiva, che trova la sua espressione più esilarante nel simulare un rapporto tra due pantofolone a forma di cane, sotto gli occhi della madre attempata. Così come, preso da una sorta di panico da fobia sociale, il ragazzone si rifugia nella macchina di un ospite durante una cena per farci la pipì. Questo ritratto di bonario anarchico suscita più volte simpatia, sempre sul crinale tra adesione e inquietudine. Tuttavia, nell’insieme il film resta fin troppo minimale e gracile, chiudendosi poi in uno scioglimento confuso e frettoloso. Non sempre essenzialità vuol dire qualità.

MASSIMILIANO SCHIAVONI