Un château en Italie

Alla sua terza regia Valeria Bruni Tedeschi firma una commedia intelligente e garbata. In concorso a Cannes.

Il cinema come psicodramma curativo delle proprie nevrosi e disillusioni. È questo un sottogenere dei prodotti d’oltralpe che calza a pennello alla tormentata e talentuosa interprete italo-francese Valeria Bruni Tedeschi. Alla sua terza regia, dopo È più facile per un cammello e Attrici, con Un château en Italie la Tedeschi prosegue l’indagine sulla sua storia personale, quella della sua famiglia e sul mestiere di attrice. Presentato in concorso al Festival di Cannes, Un château en Italie è una commedia sentimentale nel perfetto stile d’oltralpe, ovvero con protagonista una coralità di personaggi problematici dalla battuta pronta, angustiati dai tipici eventi della vita, pronti a scatenare tensioni, accesi alterchi e sopite passioni. Il tutto condito magari da un’ammiccante colonna sonora pop. Tutto ciò è presente naturalmente anche in Un château en Italie, ma la pellicola riesce in numerose occasioni a sorprendere grazie ai non pochi scarti creativi in grado di profondere maggiore autenticità al contesto.

Al centro della storia troviamo Louise (la stessa Bruni Tedeschi), ex attrice che ha abbandonato il suo mestiere per “lasciare posto alla vita”, ed erede insieme al fratello Ludovic (Filippo Timi) della ricca famiglia di industriali italiani dei Rossi Levi, da tempo residente in Francia. Travolta da una serie di eventi, dalla grave malattia contratta da Ludovic all’amore per il giovanissimo Nathan (Louis Garrell) al desiderio di maternità, la donna si trova ad affrontare la vendita del castello di famiglia e del suo prezioso contenuto, compreso un dipinto di Bruegel figlio. Con una narrazione e un ritmo liberi da ogni regola, il film procede al fianco della sua protagonista condividendone desideri e sensazioni, facendo gradualmente strada all’argomentazione gattopardesca della fine di un mondo, quello degli industriali italiani, avvalorato qui dalla sterilità di entrambi i due rampolli dalla famiglia Rossi Levi. La malinconia serpeggia dunque tra una risata e l’altra, sovvenzionata da una selezioni di brani musicali vintage che comprende nel versante nostrano La pappa col pomodoro di Rita Pavone e Eri piccola di Fred Buscaglione. Appare invece un po’ fuori luogo la citazione antonioniana della partita di tennis di Blow Up qui replicata in solitaria da un Filippo Timi in mezzo alla neve. Ma se si eccettua qualche vezzo autoriale di troppo Un château en Italie risulta comunque una commedia garbata e ricca di inventiva, capace di coinvolgere con una resa dei sentimenti realistica che chiosa in un finale poetico e ben costruito. Forse però la collocazione migliore non era nel concorso di Cannes bensì nelle sale cinematografiche dove certamente incontrerà i favori del pubblico più smaliziato.

DARIA POMPONIO