Arrivano i nostri

12/02/09 - Circolano in questi giorni in modo quasi clandestino due film italiani indipendenti...

Arrivano i nostri

(Rubrica a cura di Alessandro Aniballi)

arrivano-i-nostri-interno.jpg12/02/09 – Circolano in questi giorni in modo quasi clandestino due film italiani indipendenti, Il sol dell`avvenire di Gianfranco Pannone e Beket di Davide Manuli. Chi vive a Roma ha l`opportunità di vederli (al Politecnico Fandango e al Nuovo Cinema Colosseo il primo, al Filmstudio il secondo), per gli altri è praticamente impossibile (Beket risulta in programmazione solo ad Ancona). È un peccato perchè si tratta di due opere estremamente interessanti: il documentario di Pannone cerca di ripercorrere, cum grano salis, la nascita della Brigate Rosse partendo da Reggio Emilia, mentre il film di Manuli è una rilettura visiva ed esistenziale di “Aspettando Godot” di Samuel Beckett. Dispiace perciò che, alla prima de “Il sol dell`avvenire”, la sala del Politecnico, già  piccola di suo, non fosse piena, nonostante la presenza degli autori, e dispiace che, a uno spettacolo serale al Filmstudio, fossimo solo tre spettatori a vedere “Beket” (tra l`altro tre amici venuti insieme). La latitanza del pubblico può essere sì spiegata con la sempre più invasiva offerta delle multisale e con l`attuale scarsa attitudine dello spettatore italiano a vedere film “impegnati”, ma non basta…Forse uno dei problemi sta nella incomunicabilità  assoluta tra i due film, entrambi portabandiera di due diversi modi di concepire il cinema: l`uno, “Il sol dell`avvenire”, parla al mondo della storia politica e civile, l`altro, “Beket”, si muove nel mondo dello sperimentalismo visivo. Ne consegue che il documentario di Pannone è troppo approssimativo dal punto di vista registico, mentre il lungometraggio di Manuli è del tutto fuori tempo e, seguendone fino in fondo i discorsi estetico-linguistici, potrebbe essere stato girato benissimo negli anni Sessanta.

Quel che manca da anni al nostro cinema documentario è una riflessione sull`estetica; quello invece di cui è privo il nostro “cinema poetico” e sperimentale è un radicamento nel reale, nel nostro (sempre più difficile) vivere civile. Con ciò, sia chiaro, stiamo consapevolmente travalicando il giudizio sui due film che non è assolutamente negativo (soprattutto per quel che riguarda “Beket”), ma allo stesso tempo ci sentiamo di ragionare su una possibile falla nei due progetti, una falla che forse, allo stato attuale delle cose, è inevitabile.Quel che in Italia ha saputo fare magnificamente Pasolini è ormai lettera morta. Oggi, in un paese in cui gli intellettuali sono sempre più incapaci di far sentire la propria voce, avendo perduto forse definitivamente il loro ruolo nella società , ci ritroviamo con una specializzazione esasperata, per cui è sempre più raro che qualcuno sia in grado di parlare con ragion critica a un ampio uditorio. L`esempio di “Gomorra” e de “Il Divo” – più il primo che il secondo – sembrano, a distanza di poco tempo, sempre più frutto del caso che di una possibile maturazione del nostro orizzonte culturale. E forse mai come in questi tempi in Italia si sente la mancanza di figure “rinascimentali”, in grado di fare un sano uso dell`eclettismo.