Belli e indipendenti

14/11/11 - Analizziamo l'aspetto stilistico e storiografico nel cinema del regista Robert Altman, indimenticabile autore del cinema indie statunitense scomparso nel 2006.

Belli e indipendenti – Indagine sull’odierno cinema indipendente a cura di Giovanna Barreca

La Mole Antonelliana, sede del Museo Nazionale del cinema di Torino, dal 12 ottobre fino al 29 gennaio 2012 ospiterà la mostra dedicata a Robert Altman, (Robert Altman. America America) parte del progetto che porterà il TFF ad omaggiare l’autore americano con la più grande retrospettiva mai realizzata nel nostro Paese e in Europa. All’interno della kermesse torinese (25 novembre – 3 dicembre) verranno proiettati tutti i suoi lungometraggi, documentari e serie televisive, alcune delle quali mai giunte nel nostro Paese.

All’interno della nostra rubrica abbiamo la possibilità di indagare – in attesa del volume monografico del festival, a cura di Emanuela Martini – l’aspetto storiografico e quello stilistico che ha reso Altman l’autore americano indipendente per antonomasia, colui che tenderà ad operare nel cinema “un’azione di Verità”, come è stata definita da molti. Negli anni cinquanta intuisce il declino dello studio system americano e inizia a lavorare per la televisione, accettando decine e decine di serie televisive, dalle quali spesso verrà cacciato proprio per il suo temperamento poco incline al rispetto delle regole (Emanuela Martini nell’intervista ci ha regalato un simpatico aneddoto a tal proposito). Vivrà la crisi degli anni sessanta per poi cavalcare la trasformazione di Hollywood negli anni settanta, quando si andò valorizzando la componente delle produzioni indipendenti in un sistema che aveva mantenuto denominazioni degli studi d’un tempo ma funzionava attraverso mega strutture multinazionali. Non più contratti pluriennali, produzioni a catena parcellizzate e per generi, ma un cinema che lasciava emergere gli autori sulla spinta delle correnti delle nouvelle vague europee. Altman si inserisce in quella nuova generazione di autore che proviene dalla critica e dalle università di cinema: Paul Schrader, Peter Bogdanovich, Francis Ford Coppola, anche se lui aveva frequentato l’accademia militare di Wentworth e si era arruolato nel 1945 nell’aereonautica. Autori che partono da un’idea diversa del ruolo del regista e del modo di approcciare il testo filmico. Altman sente da subito l’esigenza di reinventare i generi basti pensare a Gang del 1974 o Nashville del 1975 (nello stesso periodo autori come Scorsese per Taxi Driver e Polanski per Chinatown per esempio lavorano anch’essi sui generi, in special modo il noir cercando di rifondarlo). La sceneggiatura si libera di diversi paletti tecnici e soprattutto diventa uno strumento, come ricordava Giuliana Moscio “che deve funzionare in una sorta di libero mercato in cui chi ha l’idea vincente porta a casa tutto, anche il ragazzino appena uscito dalla scuola di cinema che vende un buon soggetto, incassando milioni di dollari”. Le prime sceneggiature di Altman, a tal proposito, sono tra le più leggere e godibili. Nei road movie inserisce la parlata in dialetto e la parolaccia non è più censurata e man mano che il pubblico si va concentrando in una fascia d’età sempre più giovane, domina anche uno slang diverso.

Altman introduce anche figure dalla sessualità ambigua e musica suoni e linguaggi tra i più diversi. Gli interessa raccontare la società americana vera, quella dove il sogno americano stava svanendo, quella non allineata alle immagini stereotipate. Per il suo debutto dietro la macchina da presa per un lungometraggio, I compari (1968), l’aspetto più rivoluzionario introdotto è quello del colore, della desauterazione del colore per essere precisi, che doveva aiutarlo a rendere il cinema meno spettacolare. Il suo direttore della fotografia Vilmos Zsigmond, per rendere più tenui i colori, diminuire il contrasto e porta alla superficie i particolari delle zone d’ombra, espone il negativo vergine a una fonte di luce neutra grigia. Per ridurre ulteriormente la saturazione effettua le riprese con una velatura per permettere l’introduzione del grigio in tutti gli strati di emulsione. Da ultimo, la pellicola è sottoposta a uno sviluppo forzato con uno o due bagni di arresto e sovrasviluppando così un negativo che viene intenzionalmente sottoesposto durante le riprese. La tv gli permise di affinare la tecnica, di conoscere benissimo tutti gli schemi che decise poi di stravolgere: la telecamere diviene personaggio e gioca tutto il tempo con la profondità di campo, l’overlapping per il suono e la costruzione di decine e decine di antieroi che devono essere in grado di coabitare in scena in film corali (24 coprotagonisti in Nashville, 48 in Gosford Park).

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