I più grandi di tutti

29/03/12 - Il film di Carlo Virzì, debitore di Ovosodo del fratello Paolo. In occasione dell'uscita in sala, intervista a Claudia Pandolfi.

Dalla nostra inviata GIOVANNA BARRECA

Ascolta le interviste di RADIOCINEMA, dal Festival di Torino, a cura di Giovanna Barreca:

Ascolta anche l’intervista a cura di Daria Pomponio, in occasione dell’uscita in sala del film, a:

Tornare indietro di 15 anni. Grazie a I più grandi di tutti di Carlo Virzì, in concorso al TFF e in uscita il 4 aprile, capiterà a tutti gli spettatori intorno ai tren’anni che alle medie amavano il gruppo rock dei Malfunk con Marco Cocci e non si erano persi la puntata del Roxy bar di Red Ronnie (inserita nel film) che li vedeva protagonisti. Un ritorno al passato è quello che viene chiesto ai quattro protagonisti del film, leader della band dei Pluto che, su richiesta di un giornalista, devono rivedersi per rilasciare un’intervista e esibirsi in un ultimo concerto live. Loris (Alessandro Roja), ex batterista, nel frattempo si è sposato con la fidanzata di allora e ha messo al mondo Alessio, bimbo di sei anni, già in grado di risolvere i problemi del disadattato padre. Rino (Dario Kappa Cappanera), il più talentuoso, tanto da essere chiamato dal mitico Vasco per un’audizione, ma incapace di credere in se stesso, lavora in fabbrica e vive ancora con il padre. Sabrina (Claudia Pandolfi), bassista, ex tossica, si fa mantenere da un uomo buono e mite. Mao (Marco Cocci), il cantante della band, fa il barista e cerca modi non leciti e rocamboleschi per far fortuna. Squattrinati e impietositi dalle condizioni fisiche del giornalista Ludovico Reviglio (Corrado Fortuna) – un giovane molto ricco, finito su una carrozzina dopo un incidente stradale proprio sulla via del ritorno da una loro esibizione – decidono di accettare. Sarà il modo per fare i conti con ciò che erano allora e, almeno per tre di loro, la possibilità di attraversare la famosa linea d’ombra e diventare adulti; come nei film di Paolo Virzì e nel Gabriele Muccino de L’ultimo bacio, il ‘viaggio’ non è di crescita per tutti. Una delle scene più esplicative in tal senso è quando Loris fuma una canna sul terrazzo e la moglie gli dice: “Ma basta canne”. Canna che logicamente in una delle ultime scene (primo piano del portacenere), capirà da solo di dover spegnere.

Il film permetterà un ritorno indietro anche per i cinefili che ricorderanno Ovosodo di Paolo Virzì del 1997 – Gran Premio Speciale della Giuria di Venezia – che si concludeva con una panoramica della fabbrica: l’allora padroncino (sempre Marco Cocci) lasciava in quel luogo il protagonista Piero che ormai aveva archiviati i grandi sogni (suoi e della professoressa Giovanna, interpretata da Nicoletta Braschi) metteva su famiglia con Susy (Claudia Pandolfi) e diventava operaio, come il padre. Stessa panoramica qui. Omaggio a Carlo Virzì dal fratello Paolo? L’unica cosa certa è che le similitudini con il film di circa 15 anni fa non si limitano a questo. Loris è in un certo modo Piero, entrambi protagonisti miti che camminano con le spalle basse e guardano con ingenuità alla vita. Entrambi, tra le altre cose, voci narranti della storia (tale soluzione di linguaggio poteva risultare significativa 15 anni fa, ora non più). Inoltre in Ovodoso come in I più grandi di tutti, il tema principale è la perdita. Carlo Virzì fa sorridere quando usa i dread dell’ex cantante Cocci per le immagini che devono raccontare in modo credibile la band nel passato (come l’uso della trasmissione televisiva), quando inserisce scene oniriche, quando fa recitare il rapper Frankie Hi Nrg nella parte dell’assistente Saverio. La caratterizzazione dei personaggi è la colonna portante delle pellicola con un tratteggio curato e una psicologia complessa. Su tutti il giornalista che ricerca il gruppo non tanto e solo per ammirazione (all’inizio del film lo si sente raccontare episodi della biografia del gruppo che neppure i componenti ricordano), ma perché la sua vita, con l’incidente e la morte della fidanzata – vera fan dei Pluto – si è fermata a quel momento. La volontà del regista, passato dietro la macchina da presa per la seconda volta dopo L’estate del mio primo bacio (2006), era quella di raccontare una rock band di periferia. L’intento è fallito. I più grandi di tutti, non sembra altro che un Ovosodo minore: senza il lirismo delle citazioni di Moravia, Morante e Pasolini, il tratteggio di bellissime figure minori e il ritratto, vero, di una città industriale e operaia di provincia.

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