Love for Life

03/11/11 - Ex direttore della fotografia di Zhang Yimou, Gu Changwei porta a Roma una storia drammatica sull'AIDS. Film necessario ma dagli esiti disastrosi.

Dal nostro inviato ALESSANDRO ANIBALLI

Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA al regista:

  • Gu Changwei
  • Gu Changwei è una figura di spicco della cinematografia cinese contemporanea: per anni direttore della fotografia del regista Zhang Yimou, è poi passato a dirigere il suo primo lungometraggio nel 2005, Peacock, cui nel 2007 è seguito And the Spring Comes, premiato proprio qui al Festival di Roma con il Marc’Aurelio alla miglior attrice protagonista, Jiang Wenli. Quattro anni dopo, Gu torna nel concorso della rassegna capitolina per presentare Love for Life, primo film cinese a essere stato ufficialmente autorizzato dal regime a trattare la tematica dell’AIDS. La pratica delle trasfusioni di sangue senza controlli igienici, diffusa soprattutto nelle campagne più povere dell’entroterra dove letteralmente ci si dissanguava per poter guadagnare qualche soldo, era molto frequente negli anni ’90, finché le autorità non si sono accorte di questa attività, con conseguente giro di vite. Ed è da questo spunto che prende il via Love for Life, ambientato in un immaginario paesino dove la maggior parte degli abitanti ha contratto il virus dell’HIV. Un film dunque necessario, per una vicenda che doveva essere raccontata. Purtroppo però tutto è andato male, dalla sceneggiatura, al montaggio, alla regia, ai toni tra il melò e il demenziale, ecc.

    Considerando la caratura autoriale di Gu Changwei, lo sconcerto di fronte a Love for Life è notevole: si passa da momenti che dovrebbero divertire e invece sono clamorosamente grossolani (immagini a doppia velocità di una cuoca che cavalca un maiale!), ad altri passaggi pesantamente immorali vista la tragica storia che si racconta (la protagonista, malata di AIDS e interpretata da Zhang Ziyi, diviene oggetto dello sguardo di alcuni guardoni come in una qualsiasi commedia scollacciata italiana d’antan). E la stessa confezione sembra soffrire di schizofrenia, come se si stesse assistendo a due film: uno, corale, con gli abitanti del villaggio e le loro miserie (tutte descritte malamente), l’altro dedicato a una immotivata storia d’amore, che solo negli ultimi minuti del film trova una qualche vivezza stilistica.

    A Berlino 2011 era stato proiettato il backstage di Love for Life, Together di Zhao Liang, in cui sembrava fosse protagonista il personaggio di un bambino che qui, a film finito, compare solo nei primi minuti per poi morire improvvisamente. E allora, prendendolo come segnale indicatore, si intuisce che qualcosa, a livello produttivo, non è andata per il verso giusto. Gu ha ammesso qui al festival che il film è stato tagliato di 50 minuti, che non esiste un director’s cut e che – se potesse – girerebbe delle scene che aveva scritto nella sceneggiatura e che non gli è stato permesso di filmare. E, anche se il regista non lo ha confessato apertamente, emerge tra le righe del fallimentare Love for Life un paradosso terribile sulla libertà d’espressione in Cina: si autorizza a filmare un tema scottante, ma lo si infarcisce di intermezzi comici, ufficialmente per compiacere il mercato, quando in realtà l’obiettivo è quello di edulcorare ogni cosa. In tal senso va letta anche la stessa scelta (o imposizione?) della superstar cinese Zhang Ziyi (La tigre e il dragone, Hero, La foresta dei pugnali volanti e negli USA The Horsemen). Con l’arricchimento complessivo della società mandarina, la cappa censoria, invece di diradarsi, sembra decisamente peggiorare. E allora è necessario sottolineare quanto detto recentemente da un altro regista cinese, Wang Xiaoshuai, ospite a Roma poche settimane fa per presentare 11 Flowers all’Asiatica Film Mediale: “Un tempo in Cina esisteva un solo tipo di censura, quella governativa. Oggi ce ne sono due, la censura governativa e quella del mercato”.