Mickey il Leone

07/09/08 - Il Leone d`Oro di Venezia 65 è andato a "The Wrestler" come probabilmente era giusto...

Speciale Venezia 65 – Undicesimo giorno
(Dal nostro inviato Alessandro Aniballi)

07/09/08 – Il Leone d`Oro di Venezia 65 è andato a The Wrestler come probabilmente era giusto che fosse. Purtroppo non ha avuto alcun premio Rachel Getting Married di Jonathan Demme, che non è stato tenuto in considerazione neppure per la Coppa Volpi ad Anne Hathaway, andata invece alla “masochista-ossessiva” Dominique Blanc per il film L`autre. Come miglior attore ha vinto Silvio Orlando (protagonista de Il papà  di Giovanna di Pupi Avati), che si è misurato con il suo ruolo più complesso, mentre i restanti riconoscimenti sono stati divisi tra l`etiope Teza (Premio speciale della Giuria e Premio Osella per la miglior sceneggiatura) e il russo Paper Soldier (Leone d`argento per la miglior regia e Osella per la miglior fotografia). Si è deciso poi di recuperare anche il controverso Leone speciale per l`insieme dell`opera che, consegnato in anni recenti a De Oliveira e a Straub/Huillet, è stato stavolta assegnato a Werner Schroeter. Un gesto che condividiamo e che ci pare una risposta, seppur indiretta, a quanti avevano stroncato senza pietà  Nuit de chien, il film che il cineasta tedesco aveva presentato in Concorso.

Al di là  delle consuete polemiche “cullate” dai media nazionali (Wenders, presidente di giuria, ha lasciato intuire una sua preferenza per Mickey Rourke, piuttosto che per Silvio Orlando), la rosa dei premi ci sembra sostanzialmente condivisibile, a parte un ultimo dubbio: Teza era uno straordinario film di regia e non un film di sceneggiatura. E se agli Oscar i premi “tecnici” sono un segno di riconoscimento che l`industria consegna ai professionisti del settore, nei festival europei un premio come quello alla miglior sceneggiatura sembra piuttosto una forma di compenso che si dà  ad un film che non è riuscito a vincere qualcosa di più importante. Dal canto suo The Wrestler è sì una pellicola impeccabile dove tutto funziona egregiamente, tuttavia un po` di rammarico resta per un Leone d`Oro che se assegnato a Teza avrebbe avuto il sapore di un gesto politico. Il film di Gerima, infatti, oltre a parlarci di un continente dimenticato come l`Africa, parla anche a noi italiani, colonizzatori in epoca fascista di un Paese quale l`Etiopia con il quale ancora non siamo riusciti a riappacificarci completamente.

Anche per questa ritrosia a politicizzarsi, qui al Lido abbiamo assistito nuovamente ad una edizione interlocutoria, indecisa tra il glamour (su cui punta Roma) e la radicalità  (quando potremo vedere Bressane e Lav Diaz nella sezione principale del festival?). Infatti un Concorso che teneva insieme il laccato esercizio manierista di Jerichow con il concettuale digitale sporco di Vegas, reca il segno di una Mostra che deve ri-trovare una sua precisa collocazione nell`ambito dei festival nazionali e internazionali. E veniamo alla sezione più controversa e più ignorata dai media, quell`Orizzonti che tiene insieme tante, forse troppe, istanze di cinema differenti. Come miglior documentario ha vinto Below Sea Level di Gianfranco Rosi, mentre come miglior film di finzione è stato premiato Melancholia, il nuovo film-fiume di Lav Diaz (sette ore e mezza!), che siamo riusciti a vedere nel corso dell`ultimo giorno del festival. Il cineasta filippino è un narratore sicuramente anomalo, i cui personaggi riescono a precisarsi solo in tempi estremamente dilatati. Ma non v`è dubbio che – per chi ha pazienza – il cinema di Lav Diaz riesce a gratificare lo spettatore, calandolo in un contesto cangiante e denso nella costruzione narrativa estetica e politica. Melancholia è il ritratto di un Paese alla deriva e di una classe intellettuale che, incapace di far valere le istanze di cambiamento, si ritrova a isolarsi dalla società , finendo chi a fingere di fare la prostituta, chi su una sedia a rotelle circondato da carabattole, chi a rifugiarsi nella giungla inseguito da militari invisibili.

Ma Lav Diaz è anche un costante reinventore di tempi cinematografici, uno sperimentatore, un osservatore minuzioso sia delle “interiora” dell`uomo che delle inesplicabili esternazioni della natura (in Melancholia la pioggia costante sottolinea l`essenza inospitale di un territorio, in cui tutti i suoi abitanti sono destinati ad essere sepolti dal fango, cenere tra le ceneri).

Chiudiamo questi resoconti con un film sconclusionato, Orfeo 9 di Tito Schipa Jr., opera rock italiana del 1973, recuperata a Venezia 65 seguendo il filo della riscoperta del misconosciuto musical italico. Visto oggi, Orfeo 9 risulta datato in maniera irrimediabile, ingenuo, persino grottesco, privo probabilmente del minimo talento registico. Eppure, realizzato con pochi soldi e prodotto dalla RAI, quel film resta a testimoniare un periodo forse perduto per sempre, una fase storica in cui la televisione di Stato aveva aperto un terreno di confronto con la sperimentazione audiovisiva. Oggi, invece, che in Italia gli esperimenti sono finiti sia nel cinema che nella televisione, tutto appare sicuro, calcolato, forse infallibile, ma anche decisamente più prosaico. E, pur presentando per una volta una selezione nazionale abbastanza buona, Venezia 65, tra le altre cose, ha confermato la scarsa tendenza al rischio della nostra produzione.