6 giorni sulla Terra

17/06/11 - Varo Venturi firma un film di real scienza basato su teorie discutibili e uno script che mischia alieni, complotti e adduzioni. Nel cast Poggio e Fremont.

Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA al regista del film:

  • Varo Venturi
  • Ci vuole coraggio per fare un film di fantascienza in Italia. Ce ne vuole ancora di più per chiamarlo “real-scienza” e spacciarlo per verità grazie alla complicità del bio-chimico Corrado Malanga, di cui il film ricalca vita e conoscenze; e il risultato povero e sciatto nella valenza cinematografica assume un senso ancora più fasullo alla luce delle farneticazioni. Il dottor Piso, attraverso l’ipnosi, riesce a riportare alla luce casi di rapimenti alieni (adduzioni) e a parlare con le presenze che hanno un piano preciso: quello di conquistare le nostre “anime” per dominare la terra. E la bella Saturnia potrebbe essere l’elemento decisivo per la riuscita del piano. Assunto che potrebbe anche sembrare affascinante, quello della sceneggiatura che il regista (anche musicista, direttore della fotografia e montatore), ha scritto insieme a Maria Luisa Fusconi (anche scenografa) e Giacomo Mondadori, se non fosse per la teoria del complotto e le pretese di scientificità date dai testi citati in partenza che al confronto fanno sembrare X-Files un capolavoro di lucidità.

    Il cuore del film, e delle teorie di Malanga che Venturi sposa senza batter ciglio, è la composizione elettrica dell’anima umana che permette agli alieni di comunicare e gestire gli esseri umani: intorno alla cialtroneria con cui si dà rilevanza scientifica al concetto di anima (e una frequenza: -66.6 kilohertz), si accumulano servizi segreti, militari che collaborano con gli alieni, microchip impiantati e donne messe incinte dagli extra-terrestri, nobili e massoni di tutto il mondo. Messi insieme con lo sputo di una sceneggiatura dilettantesca, che scimmiotta l’America, farneticante, in cui le inflessioni da film “commerciale” (i tocchi di humour, le questioni personali dei personaggi) sono a dir poco tremende, facendo il paio con una regia incapace di infondere il minimo senso della tensione e del pericolo alla vicenda e che non prova nemmeno a camuffare il basso budget, riempiendo il film di inguardabili animazioni digitali e scene d’azione infime. Un film goffo più che ridicolo, che gli attori (traditi anche da un sonoro e un missaggio fallimentari) aiutano ad affondare: e se l’incapacità di Ludovico Fremont non stupisce, desta perplessità la prova di un attore decentemente televisivo come Massimo Poggio, sulla cui bocca passano battute che solo uno come Nicolas Cage potrebbe pronunciare.

    EMANUELE RAUCO

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