ATM – Trappola mortale

15/02/12 - David Brooks debutta con un debole thriller claustrofobico che spreca le implicazioni socio-politiche per costruire una tensione inesistente.

Il film tutto in un ambiente, specialmente se declinato dentro il genere, è un must degli ultimi tempi: diminuisci i costi e aumenti tensione e claustrofobia. Oppure fallisci. Che è quello che capita all’esordiente David Brooks, regista londinese che con ATM – Trappola mortale cerca di replicare film a loro modo efficaci come Frozen. Protagonisti sono David, Emily e Corey, tre colleghi di una società di broker che dopo una festa natalizia vanno in un bancomat per prelevare. Ma ad attenderli all’uscita c’è un pazzo assassino che li tiene sotto scacco: e fuori si gela. Scritto da Chris Sparkling, che evidentemente ha problemi coi luoghi chiusi avendo scritto anche Buried, il film è quasi uno slasher, un thriller d’attesa con assassino mascherato (o meglio un cappotto con cappuccio) che parte dal pretesto della crisi economica e dello strapotere delle banche.

O almeno è quello che vorrebbe far credere allo spettatore: aperto da David che perde clienti per il fallimento dei mercati azionari ed Emily che abbandona il suo posto per una società no-profit, il film costruisce tutta la sua premessa sui problemi finanziari e la responsabilità delle banche. Poi, quando arriva al punto, ossia coi personaggi rinchiusi dentro un bancomat perso nel nulla e braccati, ripete le logore regole del genere, con poca inventiva e soprattutto poco senso logico: perché Brooks ha scelto un bancomat quando un qualsiasi altro luogo chiuso avrebbe avuto lo stesso effetto? Tanto più che i progetti che nel corso del film l’assassino redige sono vari e differenziati, tanto da far venire il sospetto che tutto il contesto sia niente di più che uno specchietto per le allodole. Da notare poi che la sceneggiatura si sforza molto per mostrarci la preparazione degli omicidi, all’inizio e nel finale, e pochissimo a dare uno spessore all’omicida che, come il film, è vago, vacuo, tronco, con un andamento casuale che ricorda quello di 388 Arletta Avenue di Randall Cole: il resto sono vuoti di logica, brutti dialoghi (“Festoni e fighette, è questa la vita”, per dirne il tenore) e pessimi attori che – per la cronaca – sono Alice Eve, Josh Peck e Brian Geraghty. Pronti a tornare nell’anonimato da dove sono venuti.

EMANUELE RAUCO

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