Ballkan Bazar

23/06/11 - Conflitti etnici e risate macabre nella prima coproduzione targata Albania-Italia e firmata dal regista Edmond Budina.

Ascolta le interviste di RADIOCINEMA ai protagonisti del film:

  • il regista Edmond Budina
  • l’attrice Veronica Gentili
  • Melodie dal sapore gitano, un popolo rurale che crede nella magia e nei fantasmi, il gusto per il surreale e il grottesco, la centralità della morte come fonte di tradizioni e di folklore. A guardarlo da lontano potrebbe sembrare un film di Kusturica, mentre Ballkan Bazar ha le sue radici un po’ più a Sud, al confine tra Grecia e Albania, un Paese a cui siamo per vari motivi vicinissimi ma di cui continuiamo a conoscere poco o nulla. Così poco o nulla si sa delle contese territoriali raccontate nel film di Edmond Budina, che prende spunto dalla fantasiosa perdita di una bara per descrivere il viaggio di due donne europee, una madre francese e una figlia italiana, nel cuore popolare albanese e in quelle diatribe etniche esistenti ancora oggi con i nazionalisti ellenici. Nonostante non si siano verificati veri e propri incidenti diplomatici, alcuni gruppi greci avanzano infatti pretese su alcuni paesini di frontiera dove, a loro detta, giacciono ancora i corpi dei caduti nella guerra combattuta contro l’Italia durante il secondo conflitto mondiale. L’episodio, realmente accaduto, a cui si ispira il regista, è in particolare la costruzione di un cimitero monumentale per i soldati ellenici, autorizzato dal Governo albanese nel 2007 ma secondo il regista in gran parte ancora vuoto. Da qui la pretesa di esumare molte salme sepolte in tombe con scritte in greco, alla spasmodica ricerca di ossa per segnare un ennesimo confine in quei Balcani dilaniati dallo scontro di incerte identità nazionali.

    Il tema, come evidente, è molto delicato, e si unisce ad altre questioni di attualità come le pensioni elargite dallo Stato ellenico in piena crisi agli abitanti dei paesini albanesi di frontiera che accettano di dichiararsi greci (con cifre che secondo Budina superano i 300 euro al mese) o come l’esigenza per gli emigranti albanesi di abbandonare il proprio nome musulmano e farsi ribattezzare dalla Chiesa ortodossa con appellativi greci, pena l’impossibilità di trovare lavoro. Il film tuttavia non si pone come obiettivo quello di fomentare lo scontro ma di suggerire una soluzione pacifica e in qualche modo scherzosa dei conflitti etnici, che in Ballkan Bazar vengono ridicolizzati mettendo in luce il loro carattere anacronistico e l’ingiustificata confusione che tali screzi sono capaci di creare, specialmente di fronte al giudizio stupito e un po’ scostante del resto d’Europa. La chiave scelta è perciò quella della commedia leggera, anzi leggerissima, in bilico tra il grottesco e il demenziale, ma comunque abbastanza efficace nel far penetrare anche uno sguardo estraneo all’interno della realtà albanese. Non monacano certo folklore e stereotipi, legati soprattutto alla credenze popolari dei paesini di provincia, mentre la sceneggiatura soffre di un andamento a tratti sbrigativo e a tratti ridondante. La qualità delle riprese è però il tasto forse più dolente del film, girato con una fotografia e un senso del cinema abbastanza approssimativi. Pare, tuttavia, che Ballkan Bazar (prima coproduzione tra Italia e Albania) abbia avuto un successo fenomenale nella patria di Budina, diventando una delle opere più viste di tutti i tempi. Segno che forse il cinema albanese è pronto per muovere i primi passi verso la maturità, e a noi, spettatori dell’Europa in teoria più avanzata ma anche piuttosto ignara e disinformata, non resta che osservarne l’evoluzione con interesse.

    LAURA CROCE

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