Belli e indipendenti

27/05/11 - A 4 anni dalla morte, omaggio ad Alberto Grifi, uno dei grandi registi del cinema indie e sperimentale del nostro Paese.

Belli e indipendenti – Indagine sull’odierno cinema indipendente a cura di Giovanna Barreca

Esercizio utile per la nostra ricerca sul presente e il futuro del cinema indipendente rileggere le pagine di grande cinema realizzate da Alberto Grifi che il 22 maggio 2007 morì quasi dimenticato da tutti, dopo una campagna di sensibilizzazione portata avanti da Tatti Sangiuneti, dall’associazione Apollo 11 e da tanti altri per salvare il suo patrimonio personale, importante pagina di storia per il nostro paese. Su un numero di “Alias”, a quarant’anni dal 1968 (che tra le altre cose lo rese immortale) venne definito “il più classico dei filmaker underground e l’orgonauta dell’immaginario”. Ci sentiamo di sposare questa definizione per il cineasta che negli anni ’60/’70 in un mondo in piena rivoluzione sessuale, scosso da guerre fortemente contestate (per la prima volta), voleva rappresentare la realtà e trasformarla “per agirla con coraggio”. E soprattutto riuscire a conciliarla con la nuova concezione di solidarietà e di lotta attraverso la sua “officina”. Questo era l’obbiettivo del suo guardare e a tale scopo inventò anche un vidigrafo artigianale per permise la trascrizione del videotape su pellicola 16 mm. Utilizzò un registratore portatile, andò in giro e filmò – senza mettere protezioni per sé o per lo spettatore – Anna, il primo vero film underground italiano su una ragazza ‘persa’ (presentato a Berlino, Venezia ’75 e Cannes ’76).

“Il primo vero film d’avanguardia degli anni ’70 che la letteratura italiana di quegli anni non ha saputo scrivere. E che ha permesso ad Alberto Grifi di scoprire l’infinità del tempo del quotidiano, il cinema come pantografo delle fluttuazioni temporali, dell’effervescenza dell’umore e dell’indignazione, dell’instabilità di ogni attribuzione di senso a qualcosa: un cinema fatto di inquadrature in perenne colluttazione con le intensità e le energie della vita” affermò Mario Sesti quando consegnò il premio speciale alla prima edizione Festa del cinema al regista (il primo riconoscimento dopo una lunga e invisibile carriera). Tanti i film a seguire fuori dalle grandi produzioni romane ricercando sempre e soltanto il racconto della condizione socio-politica del paese. Mettendosi in gioco in prima persona come artista, come uomo e come praticante buddista, riuscendo anche a ricavare qualcosa di positivo dai due anni passati in carcere dove aveva sentito, visto e provato cose che erano “pura poesia, sebbene nella loro orribile immediatezza”.