Berlino: True Grit

11/02/11 - La 61° edizione della Berlinale è cominciata in grande stile inaugurando il Festival...

“Il Grinta” dei fratelli Coen inaugura la 61. Berlinale

(Dalla nostra inviata Lia Colucci)

11/02/11 – La 61° edizione della Berlinale è cominciata in grande stile inaugurando il festival con l’atteso film dei fratelli Coen True Grit (titolo italiano Il Grinta), in anteprima europea il 10 febbraio alle 19.30 al Palazzo della Berlinale, ma in realtà già atteso dalle 5 del pomeriggio sia dalla stampa che dal pubblico e soprattutto dalle miriadi di fans accorsi per i loro beniamini. Ma la passerella è cominciata in maniera piuttosto fiacca presentando una sfilza di attori tedeschi semi-sconosciuti al grande pubblico, come Mina Hosst o altri nomi dello stesso calibro. Asciutto, sobrio ed elegante è stato l’arrivo di Wim Wenders, che si è contrapposto a quello della presidentessa della Giuria del Festival: Isabella Rossellini, ancora una volta incapsulata nel suo solito look androgino, capellini cortissimi e smoking, con un unico tocco femminile, un eccessivo giro di perle. La nostra reginetta del make-up si è fatta immortalare diverse volte da sola e con tutti i componenti della giuria. Se l’inizio è stato deboluccio il finale è stato a dir poco grandioso. E’ cominciato con l’entrata sul tappeto rosso di un accattivante e bellissimo Josh Brolin, seguito a ruota da Hailee Steinfeld elegantissima e molto attraente. Quindi si sono presentati a sorpresa anche Joel ed Ethan Coen anche loro molto apprezzati, anche perché nessuno si aspettava si presentassero al Festival di Berlino. Ma il vero trionfo è stato tutto per lui: Jeff Bridges, simpatico accattivante, attraente è stato lui la vera star, il vero protagonista della serata, non si sentiva che urlare il suo nome alternandolo a numerose standing ovation. Poi tutto è finito, solo silenzio in sala e la pellicola è cominciata.

Tratto dal libro del 1968 di Charles Portis, i due fratelli Coen hanno sicuramente avuto qualche gatta da pelare visto che si tratta del remake de Il Grinta diretto da Henry Hathaway (1968), che portò a John Wayne il suo unico Oscar nel 1969. Certo il paragone è inevitabile. Il Grinta rappresentava l’ultima scia della vecchia Hollywood ed era sanguinario e patriottico, il classico film ben girato per gli americani dell’epoca. Condito di pistolettate e chili di proiettili aveva dalla sua però sia il grande Duca (soprannome di Wayne) icona dei film western e dall’altra un immenso Robert Duvall unito a un convincente Dennis Hopper.

La pellicola dei Coen è di tutt’altro tono: la storia, che utilizza al settanta per cento le parole del libro di Portis, narra le vicende della giovane quattordicenne Mattie Ross (Hailee Steinfeld) che torna in Arkansas per vendicare la morte del padre ucciso per un pugno di cavalli e due pezzi d’oro dal perfido Chaney (Josh Brolin). La ragazza pensa subito di ingaggiare il più impietoso vendicatore della zona, Rooster Cogburn (Jeff Bridges), in realtà una sorta di Drugo in versione western, alcolizzato e senza fissa dimora, che dopo molte rimostranze finisce con l’accettare l’incarico. A loro si accoda il Ranger un po’ dandy dal linguaggio affettato La Boeuf (Matt Damon), anche lui alla caccia di Chaney per vari delitti commessi inTexas. Cogburn vorrebbe lasciare Mattie a casa ma la ragazzina in una suggestiva scena in cui attraversa il fiume a cavallo li raggiunge e tutti e tre si incamminano verso la loro meta.

I Coen danno il loro meglio. Circondati da un paesaggio spettacolare, articolano un duello da manuale in cui alla fine il trio ha la meglio e i cattivi vengono soppressi. Un film elegante e ironico, che forse non raggiunge le vette dell’interessante e paradossale filosofia di Non è un paese per vecchi, ma che mostra un paesaggio bellissimo ritratto magnificamente nelle sue piane assolate ed isolate. Ma la vera gemma della pellicola è proprio iscritta nel linguaggio, che mescola con sapienza la lingua formale ed eloquente, tipo quella di Damon, con quella barbara e impoverita dei villani del luogo. Poi vi è l’esilarante “dialetto” di Bridges fatto di una “gergo” continuamente impastato di alcol e di tabacco.

Insomma una pellicola che non giace sulle spalle dei giganti (Wayne & co.), anche per le straordinarie interpretazioni dei protagonisti: eccentrici e originali, al meglio delle loro prestazioni. Soprattutto Jeff Bridges che come dicevamo, diventa la versione western de Il Grande Lebowsky: caotico e disordinato, brillante e ironico, alcolizzato e vizioso ma di parola, con la sua benda all’occhio, il grande attore rischia anche questa volta di portarsi a casa un’altra statuetta. Per non parlare della recitazione di Hailee Steinfeld, sorprendente per talento e grinta. Anche Matt Damon svolge la sua parte di Ranger–dandy con estrema competenza, anche lui burlesco e canzonatorio al punto giusto, perfetto nella parte del giusto tra i giusti, riesce a essere estremamente convincente come galantuomo con il fucile.

Girato con vera maestria True Grit è un western dei nostri tempi: stilizzato e asciutto, privo di qualsiasi retorica e di qualsiasi forma di manicheismo e di buonismo in genere. I Coen cercano in qualsiasi maniera di tenere fuori i loro personaggi da ogni possibile categoria eccetto quella della qualità e dell’eccellenza. La Berlinale non poteva fare scelta migliore per inaugurare il suo festival, nel proiettare una pellicola di così grande qualità.