Catching hell

04/11/11 - Alex Gibney, il regista premio Oscar per Taxi to the dark side torna con un ottimo documentario d’inchiesta. Selezionato in Extra.

Dalla nostra inviata GIOVANNA BARRECA

I protagonisti del calcio e del baseball stanno non solo tra fumetti e cartoni, figurine e supereroi da videogioco ma, a volte, si trovano in situazioni che vanno dalla farsa al melò. Catching Hell di Alex Gibney, premio Oscar per Taxi to the dark side e in Extra nel 2007, il racconto di una di queste particolari condizioni. Il regista rimostra una moviola tv che rovinò per sempre la vita di un giocatore e di uno sfortunato spettatore. Stagione 2003, partita in casa dei Chicago cubs, il punto decisivo per la vittoria. Il ricevitore sta per intercettare una palla che sembrava inizialmente essere uscita, ma lo sportito arriva a ridosso della tribuna e la palla sembra poter finire tranquillamente nel suo guantone. Il fatto: un tifoso ne devia la traiettoria. Moises Alou si arrabbia, lo stadio è incredulo, Steve Bartman viene allontanato prima di un pubblico linciaggio e la partita, a causa del nervosismo di tutti, sarà persa per sempre. La moviola tv ripetuta all’infinito ha reso l’episodio memorabile per diverse generazioni e solo diverse decine di anni dopo Moises Alou tornerà allo stadio applaudito da un intero stadio e la maledizione che sembrava incombere su di lui verrà cancellata da quel riconoscimento di pubblica stima.

In Catching hell (presentato anche al Tribeca film festival), il regista premio Oscar mostra e rimostra quella partita, riflette su un eroe maledetto del fato e indaga sull’animo umano di chi iniziò a dare un valore diverso a tutto quello che accadde quella notte: un uomo trasformato in capro espiatorio e in unico responsabile di un sogno infranto. Alex Gibney prima raccoglie diverse testimonianze tra chi era allo stadio, tra chi – accanto a Steve Bartman e sportosi insieme a lui per raccogliere la palla – ringrazia di non essere riuscito nella presa, e poi inizia una vera e propria caccia all’uomo che fu costretto a lasciare la città, che non rilasciò mai alcuna intervista sull’accaduto, scomparendo. Se non si trattasse di un documentario, lo stile narrativo scelto, alcuni elementi di finzione ben orchestrati, farebbero pensare ad una fiction congeniata per intrigare il pubblico. Ma proprio tra la ripetizione di quell’istante fatale, dell’attesa in quello stadio, Gibney riesce a costruire un racconto appassionante che non annoia lo spettatore, che lo porta a voler indagare su quello che realmente accadde quella notte a tutti i protagonisti della vicenda. Ancora una volta il regista americano riesce a orchestrare una piccola storia che ha il sapore e la solidità di un lavoro d’inchiesta senza precipitare in inutili formalismi, arricchendo la situazione di tutte le situazioni tragicomiche che l’hanno caratterizzata rispettando però soprattutto Moises Alou e Steve Bartman, per i quali tutto fu un vero e proprio dramma.