Chris Marker: agli antipodi del cinema-industria

Scompare a 91 anni Chris Marker, autore-sperimentatore francese ai confini delle categorie estetiche convenzionali. La Jetée è la sua opera più ricordata.

In mezzo a voci scarne e scarse comunicazioni ufficiali è scomparso oggi a 91 anni Chris Marker, figura-cardine del cinema di ricerca europeo, che ha dispiegato la sua attività sull’arco di quasi settant’anni. Sono stati il critico Jean-Michel Frodon e il presidente del Festival di Cannes Gilles Jacob a dare la notizia. Se ne va così “il più celebre dei cineasti sconosciuti”, come lo definì Philippe Dubois, a sottolineare l’importanza della sua figura a contrasto con la natura appartata della sua opera. Che tuttavia è infelice definire “appartata”, poiché per buona parte del suo percorso Marker ha interpretato il racconto per immagini come scontro e intervento sulla realtà, conducendo ricerche su rappresentazione e codici espressivi, per lungo tempo anche a diretto contatto con le rivoluzioni socio-culturali di paesi europei ed extraeuropei. Forme di cinema sempre sul confine tra le categorie convenzionali: definizioni come “documentario”, “film-saggio” (attribuita da André Bazin per la prima volta a Lettres de Sibérie) restano quasi sempre strette alle sue opere, anche perché Marker spaziò continuamente e liberamente tra il lungometraggio e il cortometraggio, senza tracciare tra l’uno e l’altro un consueto e industriale percorso evolutivo.

Dai suoi numerosi viaggi videro la luce, tra le altre, opere come Les statues meurent aussi (1953, in collaborazione con Alain Resnais), Dimanche à Pekin (1956), Lettres de Sibérie (1957), Description d’un combat (1960) Cuba sì! (1961). Marker condusse anche una battaglia contro la creazione individuale e il cinema inteso come sistema produttivo, partecipando negli anni ’60 e ’70 alla fondazione dei collettivi SLON e ISKRA; spesso le opere che ne derivavano non erano firmate, aderendo a un’idea di cinema che scavalcasse l’individualità autoriale. Nei suoi ultimi anni Marker ha proseguito la sua ricerca facendosi forte delle nuove tecnologie emergenti e aderendo a progetti di videoarte, coerente fino in fondo a una natura poliedrica, aperta alle esperienze più diverse, dalla narrativa alla saggistica, al cinema, all’installazione video, alla radio, alla scrittura dei commenti per i propri film e per film di altri. Probabilmente la sua opera più ricordata rimane La jetée (1962), cortometraggio composto quasi esclusivamente da immagini fisse (vi è una sola inquadratura in movimento della durata di 5 secondi), sostenute da un narratore over e da una colonna sonora. Una riflessione sul tempo e la memoria che spesso è stata sbrigativamente catalogata come cortometraggio di science-fiction. Più che profilarsi come un vero remake espanso, L’esercito delle 12 scimmie (1995) di Terry Gilliam riprenderà alcune suggestioni dal cortometraggio di Marker traducendole in un magniloquente contenitore filosofico-spettacolare, che poco ha a che fare con l’originale. “Appartato”, dunque, ma nel puro e banale senso di una figura davvero lontana dal cinema-industria. Ché, del resto, proprio il cinema inteso come sistema produttivo costituiva per Marker uno dei nemici da combattere.

MASSIMILIANO SCHIAVONI