Crazy, Stupid, Love

14/09/11 - Deludente seconda regia di Glenn Ficarra e John Requa per una commedia intrisa di perbenismo in cui la famiglia sopravvive a tutto.

La problematica maggiore della struttura narrativa delle commedie americane mainstream non è quella di rielaborare schemi ormai assodati, bensì quella di cedere ai ricatti del grande pubblico e a un’inspiegabile ricerca di perbenismo. Come avviene in Crazy, Stupid, Love. Dopo il buon esordio alla regia di Colpo di fulmine – Il mago della truffa (I Love You, Philip Morris), commedia a sfondo omosessuale piuttosto scorretta (come scorretta e divertente era la loro sceneggiatura di Babbo bastardo), Glenn Ficarra e John Requa deludono alquanto alla loro seconda regia, che si permea dei canoni della commedia più tradizionale realizzando un prodotto che è l’esatto opposto di quello precedente. E laddove nel primo film ciò che appare immorale nel comportamento del protagonista si rivela un archetipo e una critica al perbenismo americano, qui invece diventa immorale il perbenismo con il quale la pellicola furoreggia sui valori della famiglia e sulla sua ricomposizione. Il tradito e sfigato Steve Carell può ricevere consigli su come vestirsi e rimorchiare le donne da un donnaiolo impenitente come Ryan Gosling (definito “vecchio” nel film, se non è immorale questo!), ma questi ovviamente non può certo impalmare la sua figlioletta e mettere la testa a posto. La traditrice Julianne Moore, invece, deve necessariamente ricevere un contraccolpo “punitivo” prima che lui possa riuscire a riconquistarla. Chissà se fosse avvenuto il contrario! Il film non risparmia infatti una certa misoginia ipocrita di fondo, che si espleta nella descrizione di donne fedifraghe, alcolizzate o talmente sciocche da cascare tutte nel solito schema del seduttore di turno.

Se il film delude sotto questa prospettiva, non si può dire che recuperi per quel che riguarda gli intrecci e i personaggi. Gli incastri a mo’ di commedia dell’arte risultano infatti poco credibili e i twist narrativi non suscitano né pathos né sorpresa, giacché lo spettatore comprende tutto nei primi venti minuti del film. La sceneggiatura fa, inoltre, acqua anche sotto l’aspetto dei personaggi, privati di un corpo interiore, solo lievemente accennato con qualche riferimento casuale. Cosa scatena la crisi della coppia sposata da venticinque anni a parte gli anni che passano? Come si spiega il narcisismo del giovane donnaiolo? Nella solita confezione da franchising c’è una fotografia morbida – atta a nascondere le rughe di Steve Carell e Julianne Moore – un uso della macchina da presa da “Abc” e un montaggio da manuale. Nonostante i loro vacui personaggi, gli interpreti tengono ben desta l’attenzione. Ma più di Steve Carell (imbrigliato al cinema in questa tipologia di prodotti), Ryan Gosling (tappa obbligata nella commedia commerciale nell’anno della svolta definitiva della sua carriera), Julianne Moore (e pensare che con la sua presenza ha aggiunto valore alle migliori opere di Robert Altman, Neil Jordan, P.T. Anderson, dei fratelli Coen e di Todd Haynes!), Emma Stone (lanciatissima, ma perché?), Marisa Tomei e Kevin Bacon (sprecatissimi), sorprendono le giovani leve Jonah Bobo e soprattutto Analeigh Tipton. Restano due certezze: le scarpe da ginnastica si usano solo per fare sport e i portafogli con lo strappo sono out dopo i dieci anni!

ERMINIO FISCHETTI

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