Cuba nell’epoca di Obama

09/09/11 - Attraverso i volti dei giovani cubani, Gianni Minà documenta come la libertà si possa ottenere solo grazie alla conoscenza. Alle Giornate.

Dalla nostra inviata GIOVANNA BARRECA

Chi ama i reportage di viaggio, sicuramente adorerà la prima parte di Cuba nell’epoca di Obama presentato alle Giornate degli autori della 68/a Mostra del cinema di Venezia, che continua a regalare buoni film ed emozioni autentiche utili, come in questo caso, a stimolare la riflessione sulla nostra società. Diviso in due parti, il documentario si apre con un viaggio di 1000 km tra le zone più e meno conosciute dell’isola caraibica – l’Avana, Santa Clara, Bayamo, Santiago de Cuba – per poi diventare, nella seconda parte, un documento dalla forza politica sconvolgente perché senza paura Gianni Minà, si prende il tempo per l’ascolto, per entrare nelle scuole dell’élite dello Stato latinoamericano con il più alto grado di scolarizzazione (più alto persino di quello italiano visto che il 90% della popolazione ha conseguito una laurea). Entra nella caserma di frontiera vicina alla base militare di Guantanamo – tristemente famosa per le tortura inflitte ai prigionieri – e ascolta i giovani volontari: tanti giovani tra i sedici e i trent’anni che saranno la futura classe dirigente del paese di cui rimarca nome, cognome, provenienza, facendo emergere la loro voglia di cambiare lo stato delle cose, la loro consapevolezza del dono – la libertà di poter studiare e diventare ‘menti pensanti’ che il paese considerato in Occidente una dittatura – gli sta dando gratuitamente.

Fare un film sulla forza dell’istruzione come motore portante per l’evoluzione di un paese assume un valore ulteriore per lo spettatore italiano che vive in una nazione dove l’accesso all’istruzione, negli ultimi anni, non è davvero garantito a tutti. In questo saggio per immagini il giornalista, scrittore e conduttore televisivo non rischia mai di generalizzare o banalizzare concetti nè di attribuire valori culturali e sociali molto complessi, ma è fortemente consapevole della necessità di andare oltre i luoghi comuni sull’isola, privilegiando l’autenticità della riflessione. Con tanti stimoli davanti lo spettatore viene così invitato a farsi un proprio giudizio, a rendere più articolata la propria visione presentando volti e storie tra le più diverse: dal ragazzo messicano che lascia la famiglia per diventare un medico e poter un giorno essere utile a Cuba, alla ballerina della scuola d’arte di Bayano che vuole tornare nella scuola e insegnare. Giungono da paesi diversi, hanno motivazioni differenti, età composite ed esplicitano appartenenze sociali e culturali eterogenee. Eppure si ritrovano uniti, accomunati da una volontà ferrea che non è semplicemente voglia di affermarsi e riscattarsi da una condizione di indigenza, ma effettiva consapevolezza di far parte di un motore in movimento per cambiare le cose.

Cuba nell’epoca di Obama non compiace mai l’occhio dello spettatore con paesaggi mozzafiato, nè propina virtuosismi stilistici ed estetici di chi sta dall’altra parte della macchina da presa. I paesaggi, gli spazi all’interno della scuola di danza, appaiono funzionali alla visualizzaizone degli stati d’animo delle storie. Emozionanti i passaggi con il poeta Roberto Fernandéz Retamar, spesso candidato al Nobel per la Letteratura, l’étoile della danza mondiale Alicia Alonso che fondò una prestigiosa scuola di balletto Gabriel Garcìa Marquez, tra i fondatori della scuola di cinema, intitolata al nostro Cesare Zavattini e al valore importante che ebbe il Neorealismo per la Settima arte.