Either way

29/11/11 - L'opera prima di Hafsteinn Gunnar Sigurdsson: un divertente viaggio di formazione nella desolata estate islandese. In concorso al TFF.

Dalla nostra inviata GIOVANNA BARRECA

L’autorialità europea ha trovato forse in Hafsteinn Gunnar Sigurdsson un giovane pronto a portare una ventata d’ossigeno sull’identità storica e culturale del proprio paese d’origine grazie ad alcuni temi cari della cinematografia dell’Aki Kaurismaki dei primi film come Calamari Union, La fiammiferaia, Ombre in paradiso. Il racconto di un alieno che non sa rapportarsi con gli altri, che trova difficile l’integrazione tanto da preferire un lavoro nella solitaria landa islandese come unica e possibile via di fuga prima di una possibile esplosione emotiva, il racconto della quotidianità. In concorso al Torino Film Festival, Either way di Hafsteinn Gunnar Sigurdsson ha per protagonista Finnbogi. Il ragazzo di 33 ha una compagna che ama e una figliastra che adora e ha accettato di farsi accompagnare nel lavoro estivo di manutenzione di una strada provinciale da Alfred, il fratello della compagna, non certamente un grande lavoratore o un ragazzo che meriti la sua stima e considerazione. Finnbogi lavora e vive per la sua donna. Nel fine settimana preferisce la solitudine del luogo al divertimento della città. Alfred invece vive per andare in paese il fine settimana e incontrare ragazze con le quali uscire per non più di 3 volte.

Le giornate di lavoro scorrono e si susseguono con la ripetizione degli stessi gesti e scandite dalle pause, dai pasti e dalle ore di luce. I due si parlano poco e da sottofondo spesso c’è la musica degli anni ’80 che arriva da un piccolo stereo e altre volte il silenzio dello spettacolare e disabitato territorio islandese. Quando il ragazzo va in paese e torna con il primo resoconto del fine settimane e Finnbogi riceve la lettera della fidanzata, c’è l’esplosione dei sentimenti. I due in quel territorio maturano, la loro amicizia li ha aiutati a livellare aspetti del loro carattere e a nutrirsi uno dell’influenza dell’altro. In un film dove narrativamente non accade praticamente nulla e la macchina da presa, anche quando a turno gli uomini lasciano il lavoro, non abbandona mai la prateria di un territorio aspro e affascinante (nel film il paesaggio è talmente importante e caratterizzante delle identità messe in gioco che il regista praticamente usa sempre e solo campi medi), ci si nutre delle battute ironiche di un camionista, dello straniamento dal mondo del protagonista, di una natura che ha una sua vita e soprattutto, in un momento tragico risponde con violenza al bisogno di cambiamento del modo di rapportarsi alla vita sia di Alfred che di Finnbogi. Ci si diverte con le poche battute dei protagonisti, con i loro gesti, con il loro essere dei simpatici disadattati. Dopo Le Vendeur di Sébastien Pilote, il secondo film che è piaciuto ai critici e che, chissà, potrebbe fare la differenza alla cerimonia di premiazione di sabato.