Falso Specchio

28/04/09 - L`Icononauta è di nuovo a Lisbona. Il programma promette visioni da conservare: il nuovo...

Falso specchio – Finalmente documentario

(Rubrica a cura di Silvio Grasselli)

falso-specchio-interno.jpg28/04/09 – L`Icononauta è di nuovo a Lisbona. Il programma promette visioni da conservare: il nuovo atteso film della documentarista peruviana Heddy Honigmann, “El Olvido”, una retrospettiva piuttosto consistente del “nostro solito” Werner Herzog, alcuni ritratti da non trascurare (il più “pop” “Tyson”, dello statunitense James Toback, il più “cinefilo” “Double take”, tributo critico-sperimentale composto da Johan Grimonprez in onore del grande Hitchock). Tra essi forse il più interessante è il franco-brasiliano “Rien ne s`efface” di Laetitia Midles, che in meno d`un`ora riesce nel dar conto della poetica di una delle filmaker indipendenti più notevoli degli ultimi dieci anni, la gioapponese Kawase Naomi.

Midles incontra per la prima volta Kawase nel 2000, realizza un lungo colloquio intervista, ma, una volta a casa, la ragazza scopre con sorpresa che della registrazione sonora nulla è rimasto. Dopo lungo corteggiamento, lettere e telefonate, Midles torna in Giappone, a Nara, la città  natale della regista, fotografa e scrittrice nipponica, e filma il nuovo incontro, interrogando Kawase sulle origini del suo cinema, le dinamiche del suo lavoro, il senso della sua esistenza cinematografica. Kawase risponde puntualmente, sinteticamente con grande efficacia. Il cinema è per lei il mezzo per svelare il senso nascosto delle cose, per superare la patina uniforme e compatta che altrimenti le offrirebbe una realtà  stupida, una quotidianità  inutile e ottusa. Prima la fotografia. Ma senza la vita brulicante, il tempo che scorre sulla pellicola amplificato e ripetibile la vita di Kawase non sarebbe (stata) la stessa. Un semplice regalo di compleanno, una piccola cinepresa Super8, è l`inizio d`una filmografia che conta una quarantina di titoli, e d`un lavoro assiduo al limite dell`ossessione che ha condotto Kawase ad essere, tra l`altro, la più giovane vincitrice alla Quinzanne di Cannes. Così si snoda, rapida e profonda, l`epopea minimale d`una bambina abbandonata − dalla mamma, troppo sola e addolorata per volerla con sè e dal padre, freddo e indifferente uomo della yakuza − alle cure dei nonni. Appena diciottenne Kawase inizia a usare la sua piccola cinepresa per riprendere e riprendersi le cose che sembrano sfuggirle: inquadrature ravvicinate e insistenti sui fiori del suo giardino, sulle piante e soprattutto sul corpo vecchio e rugoso della sua vecchia pseudo madre. Poi i primi film di finzione, il digitale, la letteratura. Un buon ritratto d`una grane cineasta. A martedì.