Faust

08/09/11 - Aleksandr Sokurov mette una seria ipoteca sul Leone d'Oro con un'opera potentissima. Conclusione di una tetralogia sul potere.

Dal nostro inviato MASSIMILIANO SCHIAVONI

Si spera che la giuria ufficiale del Festival di Venezia non mandi a casa a mani vuote Aleksandr Sokurov che qui ha portato un capolavoro come Faust, il compimento di una tetralogia sul potere che si chiude con un capitolo potentissimo e affascinante. Prima della presentazione del film aleggiavano alcuni timori, perchè stavolta il regista si confrontava con un classico letterario, il testo di Goethe, divenuto una sorta di mito moderno, ad altissimo rischio di trasposizioni impersonali e accademiche. Certo per il suo consueto, altissimo rigore stilistico, Sokurov avrebbe dovuto ergersi al di sopra di ogni sospetto, ma di vittime illustri, che, per restare in tema, si son venduti l’anima al diavolo dell’anonimato transeuropeo, l’inferno è pieno. Ma per fortuna il cineasta ha smentito tutto e tutti con il suo film.

Faust infatti è un’opera che si pone al contempo come lettura rigorosa e postmoderna, fedele al testo e aperta a riletture visive, a sperimentazione e ricerca sul mezzo-cinema. Identificato come uno dei maggiori rappresentanti del simbolismo, l’autore russo ha sempre tenuto nei confronti del fatto-cinema un approccio emozionale nel senso più puro del termine. Ovvero la traduzione in immagini, tramite mezzi specificamente cinematografici, dell’emozione dominante in una determinata sequenza o film. Senso e immagine restano strettamente connessi. L’immagine è simbolo di un’emozione. Basti pensare, in Faust, ai continui mutamenti di luce approntati nell’apparato fotografico. Dall’ocra al verde, al grigio, alle accensioni dorate sul personaggio di Margarete. Al non-colore del finale, in quel territorio a metà tra terra e inferno in cui Faust conclude la sua parabola orgiastica e superomistica, aprendosi a un futuro di ulteriori, infinite sfide che adombrano il fondamento dell’ideologia totalitaria. Per non parlare dell’utilizzo dell’inquadratura, spesso deformata, oblunga, tra straniamento e “demoniaco” elemento visivo. E’ cinema che riflette su se stesso, sui propri mezzi. Che mette i propri mezzi alla prova, li piega consapevolmente a una finalità estetica, partendo dal presupposto lapalissiano, ma spesso trascurato, che fare cinema è “lavorare sulle (e con le) immagini”. Quindi, da un lato rilettura, dall’altro rigore rispetto al testo originario, testimoniato ad esempio dall’utilizzo della lingua tedesca. “E’ stato necessario girare in tedesco – ha confermato Sokurov in conferenza stampa – Il Faust è scritto nella lingua di Goethe e senza quella non esiste”. Sul crinale, dunque, tra filologia e reinterpretazione, Sokurov rimane fedele a se stesso. Uno degli autori che spiccano maggiormente nel panorama mondiale attuale per coerenza e “militanza” stilistica.

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