Free Birds – Tacchini in Fuga

L'ingresso, nel mondo dell'animazione, dell'indipendente Reel FX, è segnato da un'opera gradevole e citazionista, anche se sofferente di un'esilità narrativa che la rende adatta soprattutto agli spettatori più giovani.

Reggie è un tacchino molto particolare: a differenza dei compagni che vivono con lui in una grande fattoria di famiglia, infatti, il simpatico pennuto si rende perfettamente conto del suo destino. Ma è inutile, per il povero tacchino, cercare di mettere in guardia i suoi compagni, tutti destinati a diventare presto il piatto principale del Giorno del Ringraziamento: ingrassati dal mais e abbindolati dalle promesse di finire nel “Paradiso dei tacchini”, gli altri animali emarginano Reggie, considerandolo un visionario o, peggio, un portatore di sventure. Il giovane tacchino, però, sembra avere il suo colpo di fortuna quando, improvvisamente, l’aereo del presidente degli Stati Uniti atterra nella fattoria: la scelta del “tacchino graziato”, da mostrare ai media e tenere nella grande residenza presidenziale, ricade proprio su di lui. Ma la sua gioia, e le comodità di tacchino domestico, durano poco: Reggie, una notte, viene infatti rapito da Jake, sedicente fondatore del “Fronte per la Liberazione dei Tacchini”. Lo strambo volatile recluta a forza Reggie per un piano folle: viaggiare nel tempo fino al XVII secolo, prima dell’istituzione del Giorno del Ringraziamento, per cambiare il corso della storia e fare in modo che i tacchini non siano più protagonisti del menù.

Nuova, importante uscita di animazione della stagione, dopo il pixariano Planes, Free Birds – Tacchini in fuga riecheggia solo nel (furbo) sottotitolo italiano il classico dei primi anni 2000 Galline in fuga, con cui il film di Jimmy Hayward non presenta alcun collegamento. In realtà, quest’opera segna l’ingresso, nel lungometraggio d’animazione, dell’indipendente Reel FX: il piccolo studio statunitense, per questo suo esordio, ha scelto un soggetto indirizzato esplicitamente ai più giovani, con una trama semplice e lineare e qualche citazione cinefila (Avatar e la saga di Ritorno al futuro, le più evidenti) a occhieggiare allo spettatore un po’ più attento. La storia del simpatico Reggie, in effetti, viene presentata in modo abbastanza stereotipato, con il motivo dell’emarginazione, e quello di un appena accennato dualismo animali/umani, che restano come semplici elementi accessori. La descrizione della vita del protagonista all’interno della sua comunità, e il tema della diversità suggerito dal suo differente colore, sembrano meri artifici narrativi; funzionali solo a dare avvio a una trama che in seguito si concentrerà su altro. Questo “altro” è ovviamente l’improbabile missione dei due volatili, condotta con l’ausilio di una macchina del tempo (senziente) sita in una futuristica base sotterranea; nonché la prevedibile amicizia sviluppatasi tra i due, col realismo di Reggie a fare da contraltare al carattere sognatore e strampalato di Jake. Un’opposizione, come quella tra i tacchini e i nemici umani incontrati nel passato, tanto basilare quanto funzionale a una facile lettura da parte del pubblico di riferimento.

L’esilità narrativa di questo Free Birds, e la progressione prevedibile e un po’ stucchevole della missione dei due protagonisti, non toglie nulla al buon livello tecnico raggiunto dal film: che, al netto dell’ormai onnipresente 3D, presenta generosi quantitativi di azione e un comparto visivo, in generale, abbastanza accattivante. L’iconografia passa velocemente da quella tradizionalmente disneyiana dei primi minuti, alla sci-fi futuristica della base militare, fino al western nella destinazione raggiunta da Reggie e Jake. Il parallelismo dei volatili protagonisti con gli indiani d’America, con la loro comunità organizzata su basi analoghe, è proposto in modo esplicito e scoperto; con l’evoluzione della vicenda che rimanda al tanto cinema hollywoodiano “dalla parte degli indiani” che abbiamo visto negli ultimi decenni (e il riferimento visivo al già citato Avatar, con l’albero che è dimora dei protagonisti, non è certo casuale). Si tratta, comunque, di citazioni e ammiccamenti, funzionali a presentare una trama di facile presa, schematica e priva di elementi (pur minimamente) problematici. Se il divertimento, per i più giovani, è assicurato, per il pubblico adulto i 91 minuti del film scorreranno, comunque, in modo abbastanza sciolto, con il gradevole contorno delle citazioni già ricordate, e di qualche singola sequenza (vedi un’irresistibile danza, che coinvolge Jake e un tacchino della tribù ospite) effettivamente molto riuscita. Il controfinale, ormai sempre più frequente anche per prodotti come questo, suggerisce un possibile sequel: e, d’altronde, la macchina del tempo in mano ai protagonisti apre un ampio ventaglio di possibilità narrative. La nascita di un nuovo franchise è, a questo punto, abbastanza probabile.

Marco Minniti per Movieplayer.it Leggi