Giorgio: lo sguardo altrui. Intervista alla regista Arianna Mattioli

Nell'ambito degli eventi Campari è stato presentato il cortometraggio Giorgio della regista Arianna Mattioli. Un film nato dal progetto attivato dal MIUR, in collaborazione con l’Istituto Tecnico Alberti di Roma sul fenomeno del bullismo. La nostra intervista in esclusiva alla regista.
Intervista ad Arianna Mattioli a cura di Giovanna Barreca
L’ottima scelta del punto di vista che dona al nostro sguardo di spettatori un indirizzo di lettura, ci interpella mettendoci all’interno del meccanismo della narrazione, la caratterizzazione del personaggio grazie a due singoli elementi rendono Giorgio della regista Arianna Mattioli, con Andrea Pittorino e Elena Cucci, uno dei corti più preziosi visti al Lido, nell’ambito degli eventi Campari.
La discriminazione avviene sempre nei confronti di qualcuno ritenuto diverso. La diversità spaventa e quindi viene negata. Il corto parte da questa considerazione nata nella regista dopo un laboratorio contro il bullismo svoltosi presso l’Istituto tecnico Superiore Leon Battista Alberti di Roma, in collaborazione con il Miur.
Poi con Daniele Ciprì che ne ha curato la fotografia è nata anche l’ottima scelta di raccontare la storia di Giorgio – non facilmente classificabile secondo la canonica distinzione uomo-donna – non dalla sua soggettiva ma dalla sua semisoggettiva così che fosse evidente come il mondo lo guarda e lo percepisce per strada, nei luoghi pubblici di una qualsiasi città quando decide di uscire di casa vestito da donna.
Lo spettatore può sentire il male che il protagonista prova per quegli sguardi di derisione, di disprezzo e in alcuni casi di paura che gli vengono rivolti dai passanti. Il lavoro sull’inquadratura e la luce ne restituiscono il profondo senso di emarginazione e di solitudine.
E se c’è un oggetto che ci traghetta nel grado di consapevolezza che matura nel cuore e nell’animo di Giorgio in questa giornata che sembra un po’ sospesa tra sogno e realtà è la giostra sulla quale lo vediamo all’inizio e che rappresenta l’infanzia nella quale si è trovato a vivere e che rivedremo a fine cortometraggio quando il ragazzo avrà preso maggiore consapevolezza e vedrà quella stessa giostra forse nella giusta proporzione, nella giusta distanza da ciò che è riuscito invece a raggiungere ed essere.
Nella nostra intervista la regista e attrice, impegnata per anni nel laboratorio di Emma Dante, ci spiega che il corto vuole essere uno specchio, vuole aiutare le persone a riflettere su quanto può ferire anche un solo sguardo. “La chiave sta nell’accogliere le persone che incontriamo”.
giovanna barreca