Good As You

Mariano Lamberti dirige la prima commedia "all gay" italiana: progetto giusto e interessante, ma molto poco riuscito.

Ascolte le interviste di RADIOCINEMA a:

  • il regista Mariano Lamberti
  • l’attore Enrico Silvestrin
  • La prima commedia “all gay” del cinema italiano. E’ questo l’obiettivo di Mariano Lamberti: raccontare una storia di omosessuali senza drammi e pietà, vista dal di dentro e per un pubblico prevalentemente gay. Ne viene fuori Good As You, tratto da una pièce di Roberto Biondi che non vuole ritrarre l’omosessualità, ma raccontare delle normali storie con personaggi gay.
    Tutto comincia durante una cena di capodanno, un appuntamento quasi al buio tra Claudio e Adelchi che coinvolge però anche amici, amiche e parenti dei due, creando un colorato affresco del sentimento, visto dagli occhi di chi ama il proprio stesso sesso. Scritto dal regista assieme all’autore teatrale, a Riccardo Pechini, Riccardo Degni e Diego Longobardi, Good As You è un girotondo sentimental-sessuale che mescola il primo Almodovar con l’Ozpetek più frizzante.

    Se l’obiettivo sociale è chiaro, è interessante il modo in cui questo si tramuta in film, ossia attraverso il recupero di una dimensione sessuale genuina, verace, esplicita senza essere morbosa, che neghi la patina asessuata o sessuofobica di molti personaggi gay del nostro cinema (basti vedere Magnifica presenza dello stesso Ozpetek), raccontandone da dentro e con ironia le dinamiche sentimentali e i rapporti psicologici. Quello che però non riesce a Lamberti è farne anche un film, una vera commedia che vada al di là della sua etichetta sessuale: il pesante impianto teatrale fin troppo meccanico e scoperto, che appesantisce la scorrevolezza di un film che pare interminabile e che cerca una curiosa, ma molto delicata, redenzione finale a suon di famiglia arcobaleno.
    Imputata è soprattutto la sceneggiatura poco ispirata, senza invenzioni e con battute che ricalcano per tempi e modi un palcoscenico che non è il grande schermo, a cui cerca di guardare con buona volontà il regista. E i suoi attori, che cercano di nobilitare personaggi troppo vicini alla macchietta, anche esplicita e consapevole, ma a volte fastidiosa: e forse ci riescono pure, soprattutto i protagonisti Enrico Silvestrin e Lorenzo Balducci. Ma senza dar mai l’impressione che il prodotto sia creato per un preciso bacino d’utenza: socialmente è un passo avanti importante. Ma artisticamente è qualcosa di prossimo alla ghettizzazione.

    EMANUELE RAUCO

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