High Tech, low life

In tour con Mondovisioni 8 documentari sul diritto ad un'informazione libera, le condizioni dei migranti e terre in conflitto. Intervista al curatore Sergio Fant e recensione del film dell'americano Stephen Maing.
Intervista a Sergio Fant, programmatore di Mondovisioni

La rivista d’informazione Internazionale da anni offre all’Italia, settimanalmente, uno sguardo sul mondo attraverso la traduzione dei più imporanti articoli pubblicati dalla stampa mondiale. Il prestigio della rivista, la sua capacità di affrontare temi di scottante attualità, offrendo punti di vista così diversi e permettendo l’arrivo in Italia di articoli di grandi giornalisti, ha portato alla nascita di un festival dove per 7 giorni a Ferrara, si ci può confrontare con giornalisti, si può partecipare a dibattiti e da 4 anni, assistere a importanti proiezioni di documentari, selezionati dai maggiori festival mondiali e poi portati in anteprima nel nostro paese dal curatore del progetto Sergio Fant. Mondovisioni da due anni è diventata anche una rassegna itinerante che l’anno scorso ha toccato e portato otto documentari in giro per l’Italia e quest’anno, attraverso Cineagenzia, distributrice dei film e organizzatrice del tour, ha l’ambizione di moltiplicare le piazze perchè le storie narrate, arrivino a un pubblico sempre più vasto e sempre più interessato a tale tipo di contenuti e di film.

Quest’anno torna il tema dell’informazione come un diritto negato in tanti paese dove il mestiere del giornalista significa mettere quotidianamente a rischio la propria libertà per raccontare verità scomode: Reporter di Bernardo Ruiz, High Tech, low life di Stephen Maing. The law in these parts di Ra’anan Alexandrovicz rimette in campo la questione palestinese, The ambassador di Mads Brugger ci porta nel corrotto mondo della diplomazia africana, The Brussels business di Friedrich Moser e Matthieu Lietaert si introducono in altri palazzi ma sempre di potere come quelli dell’Unione Europea. Due collettivi completamente diversi sono i protagonisti di Tomorrow di Andrey Gryazev e di We are Legion: The story of the hacktivists di Brian Knappenberger. Infine Vol spécial di Fernand Melgar che è entrato negli atroci centri di detenzione permanenti svizzeri. Ma su molti di questi titoli torneremo diffusamente nelle prossime settimane cercando di segnalarvi e seguire parte del tour.

Iniziamo soffermandoci su High tech, low life. Il giornalista/scrittore Tiziano Terzani dopo un master per imparare il cinese, si battè fortemente per poter scrivere dall’Asia, andare in Cina alla ricerca delle radici di una società più equa, più giusta, più umana, affascinato dalla storia dalla grande rivoluzione comunista che, durata vent’anni, portò alla nascita nel ’49 della Repubblica Popolare. Poi si scontrò con l’arrivo della rivoluzione culturale/dittatura di Mao. E negli ultimi anni di vita manifestò la sua grande delusione perché ormai anche nella grande Repubblica Cinese: “Tutti corrono per far soldi”. Le immagini iniziali di High Tech, low life di Stephen Maing mostrano la nazione florida, senza problemi, alla ricerca del benessere che si preparava per le Olimpiadi del 2008 raccontata attraverso i media televisivi. Ma la verità sulla realtà di intere fasce della popolazione abbandonate, quelle non le racconta nessuno, o meglio non lo può raccontare nessuno perché 40000 poliziotti informatici sono chiamati a monitorare tutto quello che viene pubblicato in rete. Sono stati bloccati circa 500000 siti negli ultimi anni e 68 persone sono in carcere per attività on line. In Cina c’è l’imponente struttura della Grande muraglia cinese – vecchio limite a Nord della civiltà mandarina – e poi c’è il grande sistema di blocco dell’informazione libera chiamato Il grande firewall: sistema di filtraggio di internet del governo cinese. Il documentario di Maing, sostenuto dal Sundance e dal Tribeca Film Institute ci mostra la ricerca di verità di due uomini. Seguiamo due blogger che mettono a repentaglio la loro libertà per raccontare il paese reale, muniti di armi potenti e pericolose: una telecamera, un computer, un telefono. Seguono i barboni che vivono in “cucce per cani” dietro Piazza Tienanmen a Pechino, sono con i contadini che denunciano l’inquinamento delle falde acquifere che hanno distrutto i loro terreni, raccontano come deternimati crimini dell’esercito vengano coperti. Il primo dei due blogger è Zhang detto Tiger Temple è ormai un uomo adulto e con la sua bicicletta si reca nelle zone più impervie e isolate della nazione ed è considerato e definito da molti contadini: “La nostra speranza più grande” perché rappresenta la loro unica possibilità di essere ascoltati. Il secondo, Zhou, detto Zola è un “guerriero giocoso”, così l’ha definito lo stesso Tiger, perché il suo lavoro gli permette di osservare criticamente la sua società e allo stesso tempo è la sua forma di emancipazione da una vita come venditore ambulante di frutta e di verdura impostogli dalla famiglia contadina. Due ritratti di uomini coraggiosi ripresi sempre attraverso campi medi perché il loro agire è sempre strettamente correlato all’ambiente che li circonda, perché sono entrambi protagonisti insieme a un Paese che si sta sviluppando velocemente; tutti gli elementi del paesaggio sono fortemente simbolici e metaforici del loro percorso.

Per maggiori informazioni sulle date e i film e per portare i documentari nella vostra città, potete consultare il sito della casa di distribuzione che li ha selezionati e che cura il tour: www.cineagenzia.it.