I pinguini di Mr. Popper

22/07/11 - Jim Carrey in bilico tra buonismo e capitalismo si porta a spasso un sestetto di pinguini che finiscono per far trionfare l'happy end più scontato.

Una strana maledizione ruota intorno a Jim Carrey, nonostante sia un attore di un certo spessore, e lo ha dimostrato sia in Truman Show che nel biopic di Andy Kaufman, per altro suo mito, A Man on the Moon, si ritrova sempre infilato in film piuttosto demenziali e per giunta con animali al seguito. Stavolta non è il caso di Ace Ventura-L’Acchiappanimali, ma forse è peggio. Tratto dal romanzo di Richard Atwater I Pinguini di Mister Popper iniziano con un breve preludio sull’infanzia del piccolo Popper caratterizzata dal rapporto a distanza con il padre esploratore. Anni più tardi Popper, ormai cresciuto, è un immobiliarista rampante tipico del capitalismo avanzato: ha rotto con la moglie, i figli non lo possono vedere e il suo unico obbiettivo è di entrare in società con una banda di squali che speculano su tutta Manhattan. Ma nella sua vita succede qualcosa di surreale, il padre morendo gli lascia in eredità sei pinguini, che finiranno per essere la sua salvezza. Improvvisamente i figli cominciano ad amarlo, la moglie si riavvicina, e Popper trasforma il mega-appartamento in una specie di igloo per favorire la riproduzione delle bestiole.

Culla amorosamente le uova finche non si schiudono, poi viene ripreso dal cinismo e le consegna allo zoo. Così ritorna alla carica con Angela Lansbury, sì proprio la Signora in giallo, per cercare di farle vendere quello che sembra essere l’ultimo immobile disponibile a New York. Quindi cambia di nuovo idea, in una straziante dialettica tra capitalismo e buonismo di quart’ordine con cui gli sceneggiatori confezionano l’happy end. Il regista Mark Waters (Quel pazzo Venerdì, The Spidewick Chronicles) ce la mette tutta per movimentare la pellicola ed in effetti la scena in cui le bestiole scivolano nel Moma è piuttosto efficace. Non funziona il resto: principalmente la comicità di Carrey, il suo cinismo e il suo buonismo. La lettera trovata in ultimo del padre che gli raccomanda i pinguini come le bestie più affettuose e di come lui sia rammaricato di averlo capito tardi. Uno strato di melassa surreale che affoga il film senza che ce ne sia la necessità. Se Carrey deve proprio continuare questo aureo filone gli auguriamo di “scontrarsi” con un serpente a sonagli. Almeno ci sarebbe il brivido.

LIA COLUCCI

Vai alla SCHEDA FILM