If not us, who?

18/02/11 - C’è una parte della Germania, soprattutto dei giovani cresciuti nel dopoguerra, che ancora...

18/02/11 – Il film di cui vi vogliamo parlare in questa ottava giornata della 61. Berlinale è If not us, who? (in Concorso) del regista tedesco Andres Veiel. C’è una parte della Germania, soprattutto dei giovani cresciuti nel dopoguerra, che ancora non è riuscita a fare i conti con il furore nazista e l’orrore dell’Olocausto: il regista ci racconta la storia di uno di loro, Bernward Wesper (August Diel) e della sua compagna Gudrun Ensslin (Lena Lauzemis).

Bern, all’inizio della vicenda un giovane studente brillante e appassionato, vive con il peso di aver avuto un padre collaborazionista di Hitler e scrittore ufficiale del regime. Questo lo porterà insieme alla sua compagna ad aprire nei primi anni Sessanta nella Germania Ovest una piccola ma promettente casa editrice di ispirazione socialisteggiante. Di natura calma e pacifica Bernward pensa di cambiare il mondo con le idee e soprattutto con i libri, avvicinandosi anche a numerosi gruppi sovversivi americani. Gudrun, invece, incontra l’attivista politico Andreas Baader, tutta violenza e niente cervello, e lo segue non solo in una appassionatissima storia d’amore, abbandonando il figlio avuto da Bern, ma anche nel terrorismo (sarà infatti con lui fondatrice della Banda Baader-Meinhof) e infine per nella prigione. Il Sessantotto è alle porte, i giovani sono in rivolta, il Vietnam è un caso mondiale, un’era esplosiva e di violenza si avvicina, e trova Bernward quasi impreparato. Di fronte a tanta distruzione si sente regredire come ai tempi del Nazismo: vede morte e violenza ovunque e nessun margine per il dialogo. Così si rifugia nei farmaci e nella follia, impotente di fronte alla crescita del figlio, all’abbandono dell’ex compagna, ad una vita senza pace e senza spazio per un vero confronto costruttivo.

Un film costruito con vera maestria che alterna ai drammi intimi le belle immagini di repertorio che spaziano dal Processo di Norimberga, ai bombardamenti in Vietman, al famoso discorso di Kennedy sull’infamante Muro di Berlino. Una pellicola che ci ricorda che nonostante tutto una parte della Germania ancora non ha guarito le sue ferite. E’ stato troppo grande l’orrore, troppo profonda l’atrocità che le tracce restano più profonde di quanto non si creda nonostante ricostruzioni architettoniche e processi.