Il cinema di Lucio Dalla

01/03/12 - Lucio Dalla, scomparso a 69 anni, lascia un notevole contributo anche al cinema. Compositore di colonne sonore e anche, soprattutto in anni lontani, attore.

Ci ha lasciati in modo improvviso, a distanza di appena due settimane da un suo grande ritorno sulla ribalta nazionale tramite un’inaspettata partecipazione al Festival di Sanremo (sia pure più in veste di nume tutelare di un giovane cantautore, Pierdavide Carone, che di totale messa in gioco personale), e appena agli inizi di una nuova tournée. Lucio Dalla: un’icona musicale italiana sui generis, dal percorso artistico multiforme e cangiante, dagli esordi jazz alla musica cantautoriale in chiave poetica o impegnata, fino al disimpegno pop degli ultimi vent’anni. Una figura culturale di grande popolarità nazionale, e soprattutto di spiccata poliedricità di proposte artistiche. Meno noto al grande pubblico è infatti il contributo che Lucio Dalla ha dato al cinema, sia in veste di compositore di colonne sonore che di attore. Se però (ri)scoprire le sue colonne sonore può sorprendere meno, sicuramente le generazioni più giovani resteranno di stucco di fronte a una sua non trascurabile filmografia, poco conosciuta perché più o meno tutta racchiusa tra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta. Ma che, incredibile a dirsi, lo portò anche a un passo dal premio al miglior attore al Festival di Venezia per I sovversivi (1967) di Paolo e Vittorio Taviani.

Dopo aver fatto parte di vari gruppi musicali, infatti, Lucio Dalla ebbe un primo incontro col cinema attraverso i “musicarelli”, tutto quel filone di cinema popolare, benedetto da un notevole successo di pubblico, che portò gran parte dei cantanti italiani più famosi a incarnare grosso modo se stessi in contesti cinematografici poco più che pretestuosi. Tra queste varie partecipazioni, quella più ricordata è al fianco di Rita Pavone in quell’eccentrica follia di Little Rita nel West (1967) di Ferdinando Baldi. Poi, i fratelli Taviani lo scelsero, contro il parere del loro stesso produttore, per uno dei ruoli principali de I sovversivi, e Dalla dette una prova sorprendente. Tale, nobilissimo viatico aprì per lui una nuova breve stagione artistica, quasi mai all’altezza del felice incontro con i Taviani e in bilico sulla serie B, ma sempre alle prese con scelte bizzarre ed eccentriche, ben in linea, in fondo, col personaggio a cui Dalla aderiva. Da Amarsi male (1969) di Fernando Di Leo a Il santo patrono (1972) di Bitto Albertini, all’horror Il prato macchiato di rosso (1973) di Riccardo Ghione. Per culminare, poi, con l’incontro con Ugo Tognazzi e Paolo Villaggio in La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone (1975), terzo film di Pupi Avati, vecchio amico di Dalla che in qualche modo intraprese la carriera cinematografica “per causa sua”. I due infatti erano compagni di gioventù in un gruppo jazz di Bologna, ma il talento di Dalla indusse Avati a chiudere con la musica (la storia che Avati poi racconterà in Ma quando arrivano le ragazze?, 2005). Reperti cinematografici dispersi che quantomeno meritano di essere recuperati per curiosità filologica. Il carnet di colonne sonore originali è a sua volta eclettico, al servizio di buoni film e autori come anche di trascurabili. Si va da Borotalco (1982) di Carlo Verdone e I picari (1987) di Mario Monicelli al famigerato Bambola (1996) di Bigas Luna, opera “illuminata” da Valeria Marini. Negli ultimi anni aveva dato il suo contributo, musicale e attoriale, in Quijote (2006) di Mimmo Paladino ed era apparso anche in una fiction tv Rai, Artemisia Sanchez. Ben predisposto al gioco, allo “scherzo” d’autore, come sempre è stato.

MASSIMILIANO SCHIAVONI