Il sentiero

13/01/12 - Dopo il passaggio a Berlino, Jasmila Zbanic torna con il suo secondo film. Un amore difficile tra il peso del passato e la necessità di redenzione.

Dopo il giro di rito per i festival d’Europa – su tutti Berlino – arriva sugli schermi italiani il secondo lungometraggio a soggetto della bosniaca Jasmila Zbanic, già salita all’onore delle cronache nel 2006 con il suo Il segreto di Esma. Na putu – che in inglese è tradotto On the Path, più corretto e suggestivo dello scialbo italiano Il sentiero – racconta un breve tratto della storia di una coppia di giovani bosniaci: entrambi profondamente ma invisibilmente segnati dalla guerra nei Balcani, i due si amano di un amore profondo e tentano, nonostante le difficoltà – anche biologiche – di avere un figlio. Ma la conversione religiosa di lui sembra decidere una crisi senza ritorno.

Zbanic inserisce nel suo racconto elementi seri e delicati con schiettezza e misura. L’islam, l’identità culturale, l’inseminazione artificiale, il senso del peccato, la fame di spiritualità sono solo alcuni dei temi che la regista coinvolge tra i materiali con i quali costruisce il suo film. Al centro resta, con esplicitezza ed equilibrio, l’esplorazione delle microvibrazioni, degli ondeggiamenti, dei sussulti e delle rigidità che animano la relazione d’amore tra un uomo e una donna; su questa spessa e imponente impalcatura, la regista – che ha iniziato il mestiere sul terreno del documentario – monta uno sull’altro strati narrativi, fili di fatti, fronti sui quali la crisi si approfondisce gradualmente, esponendo in modo discreto la collezione dei propri segni. La progressione della narrazione però è vistosamente meccanica e i motivi che l’articolano sembrano spesso schematici, semplicistici, inutilmente arbitrari. Se nei momenti di attesa, di stallo, di sosta narrativa lo sguardo di Jasmila Zbanic dimostra una buona intelligenza cinematografica, è nella costruzione della serie, nel processo del racconto classicamente inteso che la lucidità sembra perdersi per far posto al banale. Così – pur evitando la grossolanità del film a tesi – l’incertezza e la possibilità restano aspirazioni e il finale aperto concede un esito inatteso a un film troppo spesso – e inutilmente – prevedibile.

SILVIO GRASSELLI

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