In Time

16/02/12 - Justin Timberlake e Amanda Seyfried corrono forsennatamente contro il tempo nell'action fantascientifico firmato Andrew Niccol.

Non chiedetevi come sia possibile un futuro in cui gli esseri umani sono programmati per vivere fino a 25 anni, più tutti quelli che riescono ad accumulare a mo’ di deposito bancario su di un conto corrente che portano costantemente sul proprio braccio. L’action fantascientifico In Time taglia corto sin dall’inizio: non c’è tempo di chiedersi come sia successo, c’è solo tempo per chiedersi come cambiare le cose, e la premessa ha senza dubbio un suo senso. Nonostante l’ipotesi rimanga poco plausibile, quello che interessa al regista e sceneggiatore Andrew Niccol (già autore dello script di The Truman Show) è usare la metafora per denunciare alcuni lati morbosi della società contemporanea, dall’ossessione per la giovinezza alle dinamiche distorte che hanno portato alla terribile congiuntura economica attuale, senza disdegnare un pizzico di dietrologia sulla funzione repressiva dell’aumento del costo della vita e altri processi nascosti dietro la torbida definizione di “sistema”. Altro punto di forza nell’architettura del film, è la capacità di dare credibilità a questo mondo attraverso piccoli particolari, come i bambini che nascono già con un anno extra e alcuni genitori del “ghetto” (la zona dove c’è meno tempo in circolazione) che vorrebbero prenderglielo sin da neonati per pagare le bollette, o il fatto che il quartier generale dell’alta finanza, dove tutti sono pluricentenari, sia chiamato New Greenwich, nuovo meridiano per misurare la lunghezza – e la qualità – della vita nel mondo.

In Time non manca perciò di intuizioni e di spunti, che tuttavia non riescono a dare la giusta accelerazione alla storia, impigliata soprattutto in un cast di giovani che non riescono a rendere la complessità di un universo così alternativo. In un film dove tutti corrono contro il tempo, manca paradossalmente il senso del ritmo: quando tutta l’azione è scandita dal cronometro sul braccio del protagonista, la tensione si allenta presto e non funziona più tanto bene il gioco del tempo che scade. A un andamento forzosamente ripetitivo, avrebbe potuto supplire la recitazione, che invece non sembra proprio avere idea di cosa sia la tensione drammatica. Si comincia con l’improbabile comparsata di Olivia Wilde, che non riesce in alcun modo a dimostrare i 50 anni nascosti dietro l’aspetto da 25enne a cui si è autocondannato il genere umano, per continuare con un’Amanda Seyfried che continua ad atteggiarsi a bambolina sexy anche quando il suo personaggio richiederebbe una precisa presa di coscienza e un’evoluzione caratteriale. Justin Timberlake finisce addirittura per essere il minore dei problemi in una galleria d’interpretazioni maschili a dir poco dubbie come quella del gangster (?!) Alex Pettyfer o del “Custode del tempo”, cioè poliziotto, dall’occhio vitreo e dal labbro pronunciato Cillian Murphy, tutti patinati almeno quanto una fotografia e un’estetica da rivista di moda di ultima scelta. Un vero peccato per un film che poteva farsi portavoce di un sentimento epocale (un po’ come fece The Truman Show), ma alla fine, è proprio il caso di dirlo, lascia il tempo che trova.

LAURA CROCE

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