Insidious

26/10/11 - Torna il creatore della serie di Saw, James Wan, con una classica ghost story, senza sangue ma piena di tensione, che alterna banalità a tocchi di stile.

Dal nostro inviatoEMANUELE RAUCO

Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA al regista:

  • James Wan
  • Gli strilli e le locandine di Insidious annunciano a chiare lettere che il film è figlio dei creatori di Saw e Paranormal Activity: se col primo condividono solo il regista James Wan, il vero fulcro dell’operazione – distribuita con un po’ di ritardo da De Laurentiis e presentata al festival di Roma nell’ambito di una lezione di horror ad Halloween – sta nel secondo (diretto da Oren Peli qui produttore), ossia nel proporre una classica storia di fantasmi, stavolta senza l’aiuto di telecamere o riprese in soggettiva. Missione parzialmente compiuta. Stavolta fantasmi e demoni infastidiscono la famiglia Lambert, da poco trasferitasi in periferia: dopo un incidente però, il figlio Dalton finisce in una sorta di coma che pare scatenare presenza oscure e inquietanti. La realtà sarà più spiazzante del previsto. Scritto dal regista col fidato Leigh Wannell (che interpreta anche uno degli esperti di fantasmi), il film ricalca fedelmente i topoi del ghost-movie, senza sangue e violenza ma accumulando tensione psicologica, trovando però un’interessante idea di sceneggiatura.

    Infatti, dopo aver passato due terzi a far ricordare situazioni di altri film, a ricalcare meccanismi più o meno già visti, come il misconosciuto Patrick di Franklin in cui un paziente in coma uccideva e distruggeva con la forza della mente, il film trova l’audace idea delle proiezioni astrali, i viaggi fuori di sé nei quali perdersi dentro le dimensioni parallele e demoniache, originale visione dell’inconscio: peccato che Wan sprechi parte del potenziale visionario per un realismo che spesso sfiora il ridicolo, arrivando al finale che dovrebbe essere ipnotico e invece pare solo goffo. Il regista ci prova a dire il vero, con uno stile essenziale, secco, quasi ellittico e gli danno man forte i tecnici, come il direttore della fotografia David Brewer, che garantiscono un’ottima resa estetica: ma non si salva dalle semplificazioni dello script (l’uso dei disegni) e da qualche registico passo falso. Come per esempio le poco incisive interpretazioni degli attori – Patrick Wilson e Rose Byrne i protagonisti – il prevedibilissimo finale tronco tipico del genere o dei discutibili siparietti comici. Però è un horror industriale che non ha paura di mettere/mettersi in scena, e se non fa di Wan un vero autore del filone, lo rende perlomeno degno di attenzione.

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