Intervista a Edgardo Pistone, regista di Le mosche

In una Napoli dalle strade ampie, dall'apertura sul mare, dal vicoli pieni di scale il regista gira il corto Le Mosche e svela ciò che gli adolescenti rivendicano con una armoniosa perfezione tra forma stilistica e puro sentimento. In concorso alla Sic.
Intervista ad Edgardo Pistone a cura di Giovanna Barreca


Edgardo Pistone arriva al Lido di Venezia in saldali e basco e soprattutto con una gran voglia di raccontare e condividere il suo cortometraggio Le mosche che, con un ottimo potere di sintesi, sa raccontare il 15 minuti tutto un universo di sogni, di aspettative, di malinconia e di noia che pervade l’adolescenza. Il cortometraggio è stato selezionato e presentato nell’ambito della 35a Settimana della critica alla 77esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e il suo autore può già vantare diversi riconoscimenti ricevuti sia per il suo corto d’esordio Per un’ora d’amore del 2013 che per i successivi Oggi è domenica, domani si muore, IL viaggio premio e Melancholy beach.
Se da bambini alla domanda: “Cosa vuoi fare da grande?” si rispondeva con convinzione legando quell’affermazione a desideri poco definiti, nell’adolescenza quella domanda domina le conversazioni e soprattutto i pensieri perché la consapevolezza è diversa e sembra che non ci sia tempo per il presente ma solo per l’imminente futuro che affascina e fa paura al tempo stesso.
Nella prima inquadratura del corto i quattro giovani protagonisti hanno lo sguardo proteso in avanti, non si vede ma guardano oltre l’orizzonte del mare blu di Napoli chi con più speranza, chi meno per poi venire pedinati dal regista napoletano che, con campi medi e lunghi e non banali primi piani, ne cattura il cuore, l’anima e soprattutto i tanti desideri nascosti dietro a mille domande e a momenti di noia.
Quattro giovani che lasciano spazio, nella loro quotidianità, al gioco, alle corse, alle prese in giro; si divertono con il “matto del villaggio” e insultano il levitante che sembra non far parte del presente che i giovani rivendicano.
Per questa adolescenza senza tempo (le domande che si pongono questi ragazzi sono quelle che si ponevano i giovani di ieri e saranno quelle che si porranno quelli di domani), con un’azzeccata scelta stilistica, l’autore punta su un bianco e nero molto rarefatto che lascia ampio spazio ai grigi e alle zone d’ombra dei demoni che a quell’età sono presenti e spesso fanno capolino. Un bianco e nero che disegna il limbo nel quale, a fine film, finiscono i quattro protagonisti che desiderano gli venga data la possibilità di diventar “grandi” e guardano in macchina perché sia il pubblico a interrogarsi su questo desiderio, sia il pubblico a riconoscere quest’istanza.
In una Napoli dalle strade ampie, dall’apertura sul mare, dal vicoli pieni di scale il regista svela ciò che gli adolescenti rivendicano con una armoniosa perfezione tra forma stilistica e puro sentimento.

Nella nostra intervista l’autore napoletano ci spiega come ha lavorato al film nato nel laboratorio di scrittura e regia del progetto Atti_V_Azione finanziato dall’Assessorato alle Politiche Sociali per l’ Infanzia e l’Adolescenza del Comune di Napoli che ha visto gli studenti parte attiva non sono nella parte recitativa ma già dalle fasi di scrittura, con diverse battute nate anche sul set che era un ulteriore momento di ascolto per il regista.
Al cast di non professionisti si è aggiunto, per un cameo, Salvatore Striano (il levitante) che a quei ragazzi, quasi in una dimensione onirica di puro incanto, volge il suo sguardo benevolo.

Aggiorniamo l’articolo perchè il film ha vinto il Premio alla Migliore Regia: “Per la capacità di raccontare con uno sguardo mai banale un episodio che segna in modo drastico la perdita dell’innocenza e il passaggio all’età adulta.”