Italian Graffiti

20/04/10 - Da pochissimi anni è in corso un'opera di rivalutazione e riscoperta di Mauro Bolognini...

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Percorsi italiani nella (s)memoria cinematogrfaica collettiva

“Arrangiatevi!” (1959) di Mauro Bolognini: strano crocevia tra una coppia comica “a rovescio” e un autore-non autore

(Rubrica a cura di Massimiliano Schiavoni)

italian graffiti20/04/10 – Da pochissimi anni è in corso un’opera di rivalutazione e riscoperta di Mauro Bolognini, autore dimenticatissimo, o meglio mai considerato “autore” di prima linea, ma piuttosto illustratore calligrafico di narrativa otto-novecentesca, o tutt’al più corretto direttore d’attori comici in opere di largo consumo. Nei tanti luoghi comuni, risuona in realtà una difficoltà d’inquadramento della sua figura, poiché in quarant’anni di carriera l’autore pistoiese ha vissuto varie stagioni creative, caratterizzandosi per una poliedricità che rende impervia la sua identificazione in autore unitario, e per anni l’ha relegato nel pregiudizio dell’anonimo e professionale impaginatore, in quanto incapace di definirsi per coerenti e personali scelte estetiche. C’è anche qualcosa di vero in tutto questo; prima mestierante della commedia disimpegnata e di costume anni ’50, poi sorta di “Pasolini di seconda scelta”, con approccio stilistico estetizzante e decadente, diametralmente opposto alla poetica del vero Pasolini, poi “Visconti di seconda scelta”, ovvero corretto e distaccato coordinatore di illustrazioni letterarie scenograficamente ricche e accurate, ma senza mai troppa anima. Mai capace di creare tendenze, ma bravissimo nel cavalcarle, si direbbe. In realtà nel cinema di Bolognini, sia pure per frammenti, discontinuità e contraddizioni, si può trovare un filo unitario: un profondo risentimento verso le bassezze umane e le loro ipocrisie, un’osservazione del genere umano nei suoi istinti più biechi. Feuilleton e romanzo d’appendice, d’accordo, ma come ricettacolo dell’abiezione umana nelle sue forme più evidenti e drammatizzate. Specie dal Bolognini di metà anni ’60 in poi, nessun personaggio può catturare l’empatia del pubblico, che scuote il capo e, se si riconosce nella vicenda narrata, tace e se ne vergogna.

Arrangiatevi! appartiene al primo Bolognini, al mestierante impersonale alle prese con comici popolari calati in commedie rosa o di costume. Tuttavia, l’attacco all’ipocrisia è intrinseco al soggetto: la chiusura delle case di tolleranza e le nostalgie borghesi per quei “porti franchi sessuali”, nostalgie balorde e ben nascoste sotto una facciata perbenista. Il film è notissimo, poiché si tratta di uno dei Totò-e-Peppino passati più di frequente in televisione. Nessuno dei numerosissimi spettatori, credo, avrà mai fatto caso che invece dei soliti Mattoli, Mastrocinque o Bragaglia, in regia siede, solo per questa volta, Mauro Bolognini. Benché il film conservi tutti gli elementi più popolari della commedia italiana anni ’50, si tratta in realtà di un caso piuttosto anomalo, soprattutto in relazione all’insieme dei film girati in coppia dai due attori. Innanzitutto non si tratta di un Totò-e-Peppino, ma (caso davvero unico) di un Peppino-e-Totò. Il protagonista assoluto è De Filippo, mentre Totò ricopre il ruolo defilato del nonno di famiglia. Non sono moltissimi i duetti comici (tranne poche eccezioni, come il geniale “Che hai? Ti senti bene? Oggi ti vedo più brutto del solito” o il tormentone sulla zia Aminda), non ci sono battute surreali né i soliti arrangiatevimeravigliosi giochi linguistici. Il soggetto è preesistente, ossia non è il solito canovaccio scritto con i piedi in funzione del duo comico, bensì si tratta di una commedia vernacolare toscana, Casa nova vita nova di De Majo e Gioli (non eccelsa come tutto il teatro vernacolare) riconvertita in forma cinematografica. Infine, un tema sociale: la mancanza di case, gli sfollati, le asperità di un’Italia in via di ricostruzione. Ciò conferisce al film una struttura più solida, di vera commedia di costume, con precisi snodi narrativi e grande ricchezza nella definizione dei numerosi personaggi secondari (spassosi i truffatori impersonati da Vittorio Caprioli e Franca Valeri). Peppino e Totò si muovono su una scacchiera narrativa ben definita, e il loro talento è funzionalizzato a una vera vicenda, tanto da poter sembrare arginati e frustrati nella loro inventiva. Può darsi, ma l’idea di vederli in azione nelle vesti di attori a tutto tondo resta molto interessante. Totò ha un personaggio più sacrificato, e si limita a riproporre “in minore” i consueti anarchismi (memorabili gli scontri con Achille Majeroni, l’anziano coinquilino istriano). Peppino, invece, sostiene tutto il film sulle spalle con un gran bel ritratto umano, padre di famiglia patetico e orgoglioso. Poi, certo, ci sono anche tutte le convenzioni più mielate del cosiddetto “neorealismo rosa” anni ’50, come le noiosissime beghe sentimentali delle due figlie coi rispettivi fidanzati. Stavolta, però, anche questa è ben amalgamata nell’intreccio, poiché le due figlie, vivendo in un’ex-casa di tolleranza, vengono scambiate per giovani prostitute, con infiniti equivoci a seguire. E per tutto il film domina un bel sentimento d’indignazione e di rivalsa contro i meschini pregiudizi sociali di un’Italia stupida e piccina come quella degli anni ’50. Sarà forse facilona e populistica, ma la tirata finale di Totò alla finestra rimane ben impressa nella memoria, a monito di sincerità e rispetto degli altri.

C’entra tutto questo con il cinema di Bolognini, oppure Bolognini si limitò a dirigere bravi attori con professionalità? Difficile stabilirlo, tanto è diverso il suo cinema successivo rispetto alle commedie che girò negli anni ’50. Tuttavia, l’ipocrisia è messa alla berlina, e i suoi guasti nel tessuto sociale, tramite garbata commedia anni ’50 o cupo feuilleton ottocentesco, sono sempre stati al centro della sua opera. Se di autore impersonale si tratta, quantomeno la sua scelta dei soggetti è stata guidata da una coerenza d’interesse antropologico.