Jack e Jill

10/02/12 - Torna la premiata ditta Dugan-Sandler. La commedia demenziale però naufraga nella noia, complice un Al Pacino votato all'autodistruzione.

Il nome di Dennis Dugan ai più non dirà nulla, eppure è lui il responsabile – almeno sulla carta – di alcune tra le performance che hanno fatto decollare la carriera di Adam Sandler. Da Big Daddy (1999) a Io vi dichiaro marito e marito (2007), da Un tipo imprevedibile (1996) a Zohan (2008), la coppia Dugan-Sandler ha costruito e consolidato un marchio di fabbrica, magari non d’alta finitura, ma di provato successo, che ha concesso al comico il giusto spazio per crescere soprattutto come stella e al pubblico ha offerto una galleria di commediacce, becere per progetto ma divertenti e non prive, qua e là, di trovate accattivanti. Ora la coppia con Jack e Jill torna insieme per confezionare uno degli ultimi pezzi mancanti nella collezione di caratteri di Sandler. Con la non-storia di una coppia di gemelli – un maschio e una femmina, tutti e due interpretati da Sandler – male assortiti e in perenne conflitto, il comico si procura la bella opportunità di vestire i panni di un doppio e quelli di una donna. Insomma, sulla carta il classico dei classici della comicità a stelle e strisce e non solo, un canovaccio che altrove ha fruttato allori e trionfi e che qui invece inspiegabilmente invita pressappochismo, scarsa fantasia e una trivialità totalmente inutile.

Oltre la pochezza di sceneggiatura e regia – in un certo senso coerente con il progetto – resta difficile da comprendere la quasi totale mancanza di idee, più o meno brillanti, versate in un film-contenitore come questo che non potrebbe vivere se non delle acrobazie verbali e fisiche dei protagonisti. Accanto a Sandler tornano anche alcune delle spalle di pregio già viste in altri titoli della premiata ditta, ma, a parte questo nucleo ristretto, il resto del cast è assortito in modo demenziale. Basti citare il nome di Katie Holmes – al fianco di Sandler nei panni della moglie – e ancor più quello di Al Pacino, mai come qui autodistruttivo in una caricatura di se stesso dissociata e grottesca. Jack e Jill non è altro che un megaspot, un lungometraggio confezionato tutto secondo le logiche del product placement più bieco. Non si tratta solo dei marchi inzeppati dentro il racconto – da Peptobismol a Dunkin’ Donuts – e nemmeno degli insopportabili “piani di servizio” su navi da crociera o palazzi regali in esotiche – punti di vista – regioni della Spagna: tutto il racconto, addirittura la sequenza delle scene – che infatti procedono per salti logici del tutto improponibili – sono organizzati in funzione della “committenza”; e in fondo lo stesso Al Pacino funziona un po’ come marchio piazzato in mezzo al mucchio, in questo caso non per far pubblicità al brand ma al film.

Ultima segnalazione per due scelte fatali che completano il mesto quadro: evidentemente consapevoli della puzza di porcheria emanata dal film, gli autori hanno deciso di condire tutto con una densa salsa di buonismo famigliare, dedicando incipit e titoli di coda a una rassegna di coppie di gemelli che cantano le gioie della fratellanza. Uno dei grandi finanziatori di Jack e Jill è la Royal Caribbean che ha messo nel film una delle sue navi più grandi appena pochi giorni dopo il varo. Certo nessuno poteva prevedere la sciagura del Giglio, ma assistendo all’elogio della crociera per famiglie, resta qualche vaga inquietudine.

SILVIO GRASSELLI

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