Miracolo a Le Havre

17/05/11 - Dopo Cannes Kaurismaki arriva al Festival di Torino con una fiaba sull'immigrazione, tema che sente molto. Come ha raccontato ai nostri microfoni.

Dalla nostra inviata Lia Colucci

Ascolta la conferenza stampa al Festival di Cannes del film:

  • Le Havre
  • Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA (a cura di Daria Pomponio) al regista del film:

  • Aki Kaurismaki
  • In concorso a Cannes 64, arriva sotto forma di una fiaba, ma con tutte le caratteristiche della denuncia sociale, l’ultima opera di Aki Kaurismaki: Miracolo a Le Havre. Il luogo non poteva non essere che quello di transito del grande porto della cittadina, un non luogo dove si intrecciano destini anche solo per qualche ora e dove vive il protagonista del film, Marchel Marx (André Wilms) un ex-scrittore bohemien idealista e profondamente sensibile che, gettata la penna anni or sono, vive bene la sua vita di lustrascarpe insieme alla moglie Arletty ( Katy Outinen) nelle casette modeste dei quartieri periferici della città. Ma il suo mondo sta per cambiare, la moglie si ammala di un cancro incurabile mentre nella sua vita entra Idrissa(Blondin Miguel), un ragazzino africano scappato dal suo paese e ricercato dalla polizia francese. E’ tempo per Marx(e forse il cognome non è un caso) di rispolverare le armi del vecchio idealismo, di quella speranza sociale mai sopita, che è poi alla base della Costituzione francese: “Libertà, Uguaglianza, Fratellanza” per aiutare l’esodo del giovane verso una realtà migliore. Senza rovinare il film con simbologie varie, il regista, ci riporta una Francia remota che ha il sapore di Bresson, Renè Clair, Marcel Carnè soprattutto nella figura dell’Ispettore di polizia, un vero personaggio del passato, ma è sopratutto nella struttura narrativa che si percepisce l’omaggio al cinema dell’immediato dopo-guerra. Perché proprio la Francia e non un altro posto? E’ proprio Kaurismaki a rispondere, che nel 2002 ha vinto il Gran Prix de la Giuria a Cannes con L’uomo senza passato, “Ho fatto una storia europea, avrei potuta girarla in Italia, in Grecia o in Spagna, perché in questi paesi le tensioni sociali sono più forti e i flussi migratori più elevati che nei Paesi Bassi per esempio. Le Havre mi sembrava perfetta perché è anche la città del blues, del rock e del soul”.

    Non a caso uno dei due camei ritrae Little Bob (Roberto Piazza), cantante rock in auge negli anni Settanta che nella pellicola interpreta se stesso, l’altro è per Jean Pierre Leaud, altro caposaldo del cinema della Nouvelle Vague. Nel finale tutto si addolcisce e ogni problema svanisce di fronte al candore della fantasia, della speranza e dell’immaginazione. Accolto dagli applausi entusiastici della stampa internazionale, questa opera mette d’accordo sul bisogno di ripensare una società diversa, ma senza luoghi comuni o senza retorica. Come era capitato con Nuvole in Viaggio, il problema era la disoccupazione, il cineasta coglie di nuovo il segno raccontando una favola facile da comprendere, dai contenuti sostanziosi, con dei riferimenti culturali ben precisi e con il pregio di avere un lieto fine. Stanchi di pedofili, massacratori, libertini, e adolescenti problematici, l’aria che si respira in Miracolo a Le Havre dà un po’ di speranza anche a chi non riflette solo in 3D.

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