Malavoglia

08/04/11 - Rilettura anomala del classico di Giovanni Verga, un aggiornamento fedele, una traduzione del “vecchio” testo letterario per i nuovi spettatori.

Tema: perché gli errori di un regista indipendente non sono mai insopportabili come quelli di uno integrato nel sistema produttivo. Svolgimento. Pasquale Scimeca ha iniziato a esser considerato autore professionista verso la fine degli anni Ottanta. Da allora ha diretto una dozzina di lungometraggi, alcuni regolarmente distribuiti altri no, alcuni premiati e applauditi, altri semplicemente ignorati, tutti frutti coerenti di una sola e unica necessità: stare nel mondo cercandone incessantemente il senso disperso. Malavoglia è una rilettura anomala ma tutt’altro che inconsulta del classico del sicilianissimo Giovanni Verga, un aggiornamento fedele, una traduzione del “vecchio” testo letterario per i nuovi spettatori post-cinematografici. Visconti (ricordate La terra trema?) non potrebbe essere più lontano, e anche se gli attori non professionisti si esprimono per lo più in vernacolo (tanto da richiedere i sottotitoli temutissimi dalle distribuzioni nostrane) fortunatamente il neorealismo dei piani sequenza in bianco e nero e di ogni presunto “naturalismo” non si affaccia nemmeno all’orizzonte.

Quel che s’intravede in fondo a ogni inquadratura è invece l’ispirazione politica, la pratica estetica del neorealismo quello vero, quello che costruiva i film montando fatti, non storie, quello che si lasciava distrarre dal movimento inatteso di un corpo, dall’espressione di un volto, quello, soprattutto, che si centrava sulla scrittura del tempo non-narrativo. Scimeca, ricorrendo ad attori non attori già impiegati in passato (sopra tutti Antonio Ciurca, protagonista di Rossomalpelo e tra i diseredati di Il cavaliere sole), cerca Verga nella provincia di Siracusa del 2010. Passa dalle reti da pesca ai computer, dai proverbi del vecchio Padron ‘Ntoni alle pulsazioni digitali della musica elettronica del nipote, dal mare in tempesta al bar di Uzzy, dove i giovani del paese ballano e sballano. Il film non trova mai il suo ritmo, la giusta cadenza, alcune scene sono vistosamente inutili, i dialoghi mancano spesso di forza. Scimeca sbaglia molto, soprattutto perché, nella sua ricerca, non ha paura di sbagliare. Quel che importa però è che i suoi “errori”, i passi falsi, le inadempienze e le imprecisioni non vengono dettate dall’ansia di rincorrere i facili appetiti del pubblico senza nome, senza volto e senza gusto che si accalca davanti a schermi e teleschermi in cerca di sfogo, ma da una vera e profonda impellenza di trovare la giusta forma al proprio discorso sul mondo.

SILVIO GRASSELLI

Vai alla SCHEDA FILM