Modern Family

La nuova faccia del tradizionalismo USA in versione sit-com. Ed è forse proprio questo il suo messaggio più forte ed originale.

Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane a cura di Erminio Fischetti

flussi-serialiCreata da Steven Levitan e Christopher Lloyd (solo omonimo dell’attore di Ritorno al futuro), Modern Family è una sit-com che sin dal suo esordio nel 2009 è diventata un vero e proprio cult, e non solo in terra americana, dove ha vinto per tre annate consecutive il premio per la migliore serie comica agli Emmy, ma in tutto il globo. La ricetta degli autori è quella di raccontare le disavventure quotidiane di tre nuclei famigliari che vogliono rappresentare in qualche modo le complessità delle nuove famiglie contemporanee. Da qui il titolo che non lascia dubbi di sorta. Così, gli autori prendono di petto tutti i cliché delle sit-com sulla famiglia che abbiamo sinora visto riecheggiandole in parte fino a risalire a una delle sue antesignane degli anni Settanta, Arcibaldo, dove venivano messi alla berlina i comportamenti razzisti e retrogradi di un capofamiglia buzzurro, totalmente refrattario ai cambiamenti sociali dell’epoca, o passando per le sue evoluzioni anni ’90 che ne hanno ridefinito i confini, allargati fino alla sfera dell’amicizia con Friends. Ma Modern Family non solo compie un lavoro inverso, quello di raccontare la famiglia tradizionale secondo i nuovi schemi di oggi, quanto piuttosto sfrutta volutamente tutti i cliché caratteriali per definirne l’evoluzione.

Perché in realtà i Pritchett non vogliono essere da meno di una famiglia tradizionale, anche se il papà sessantenne ha finalmente divorziato dalla sua fricchettona prima moglie e si è risposato con Gloria, una giovane, bellissima e fiera donna colombiana con figlio a carico (un ragazzino di 11 anni che sembra più maturo del patriarca), che è più giovane della sua figlia maggiore Claire, a sua volta classica moglie e madre nevrotica, sposata con un agente immobiliare, più infantile dei suoi tre figli (la sciocca e superficiale adolescente Haley, la secchiona e saccente figlia di mezzo Alex, lo stupido figlio minore Luke) e coetanea del figlio minore Mitchell, avvocato nevrotico come sua sorella, ma anche timido e impacciato che convive da anni con il suo compagno Cameron con il quale ha appena adottato una bambina vietnamita. Così attraverso l’uso dei suoi cliché, Modern Family riesce a compiere un lavoro sotterraneo di analisi sociale avallando sostanzialmente il concetto, tanto vero quanto banale, che nonostante i costumi sociali della classe borghese possano cambiare fondamentalmente i comportamenti si riformulano e si ricreano adattandosi perfettamente all’oggi. E i cliché così vengono scardinati: perché anche una giovane colombiana che ha vissuto in povertà può essere innamoratissima del suo ricco marito americano, anche una coppia gay può essere pantofolaia e noiosa e desiderare solo le più vecchie convenzioni… e un bambino di 11 anni può essere il più saggio di tutti in mezzo agli adulti.

La felice struttura della narrazione poi amplifica gli spazi comici attraverso l’uso costante del mockumentary, il falso documentario, che permette ai protagonisti di parlare al pubblico in macchina e sviscerare una comicità resa tale dalle contraddizioni che definiscono il pensiero (quello che dicono nelle interviste) dall’agire (i comportamenti reali che generalmente negano quello che gli stessi personaggi dicono), una condizione tipica soprattutto per Phil, il marito di Claire costantemente rimbeccato dalla moglie per le sue goffe azioni. Modern Family si rivela un prodotto divertente e capace di intrattenere con ironia e intelligenza attraverso l’uso magico dei tempi del racconto impreziosito da un cast corale, che viene sempre utilizzato al millesimo di secondo e con grande stile e capacità. Quindi, una scrittura al servizio di straordinari mattatori che si alternano fra l’accentuare i comportamenti simili dei consanguinei Pritchett, rigidi e nevrotici, rispetto ai più solari e genuini compagni, che gettano scompiglio nelle loro esistenze improntate sulla canonicità e l’organizzazione. I tre Pritchett devono adattarsi alle storpiature linguistiche della genuina Gloria, alla tenerezza di Cam e all’infantilismo egocentrico di Phil, ma è grazie a loro che hanno imparato ad aprirsi e a godersi un po’ di più la vita nella sua essenza; così papà Jay ha imparato ad accettare meglio l’omosessualità di Mitchell, Claire a detestare meno la sua “dotata” e giovane matrigna e in generale a tollerare i difetti degli altri, Mitchell ad essere più rilassato nell’esprimere i suoi sentimenti. Il gioco-forza della comicità si impianta fondamentalmente su queste contrapposizioni caratteriali, sottotesto poi della nostra società. E lo spettacolo non può dirsi che spassoso, pur nel tradizionalissimo messaggio di fondo che lascia. Ma forse, paradossalmente, è proprio questa la sua originalità e onestà.