Mozzarella Stories

16/09/11 - Emir Kusturica e Luisa Ranieri battezzano il curioso esordio di Edoardo De Angelis: malavita e mozzarella tra Gomorra e Salemme.

Ascolta le interviste di RADIOCINEMA ai protagonisti del film:

  • il regista, Edoardo De Angelis
  • Luisa Ranieri
  • Andrea Renzi
  • A leggere tra i crediti nei titoli di coda, si scorge il nome di Emir Kusturica come produttore esecutivo: e a vedere Mozzarella Stories, il primo lungometraggio di Edoardo De Angelis, si capisce cosa c’entri il grande regista serbo con questo curioso racconto di mozzarelle e malavita. Il film infatti riesce in due imprese in cui di solito i giovani registi italiani falliscono, ossia lavorare tra le pieghe dei generi e gestire un racconto corale. Il film vede al suo centro Don Ciccio D.O.P., invidiato produttore di mozzarella di bufala, che rischia di fallire sia per l’esoso pizzo da pagare alla malavita, sia per la concorrenza dei cinesi che vendono ottima mozzarella a metà prezzo. Attorno a lui ruotano la figlia Sofia, che vuole smarcarsi dal matrimonio con Angelo, ancora innamorato della sua ex, e Dudo, silenzioso pallanuotista di origini gitane, passato a fare il lavoro sporco. La sceneggiatura, scritta dal regista con Devor De Pascalis, Barbara Petronio, Leonardo Valenti e Pietro Albino Di Pasquale riesce a gestire gli intrecci e il coro di personaggi con minime sbavature e racconta un mondo in cui si specchia l’intero paese.

    E questo parallelismo è evidente fin dall’inizio, quando alla sfarzosa e opulenta festa del 1999 si oppone il vento della crisi di “qualche anno dopo”, permettendo al film di diventare una sorta di allegoria sul declino degli “imperi” italiani – economici e culturali – quelli coltivati a suon di sfarzo e corruzione e che adesso si trovano a decadere senza dignità, vedendo nell’estero e nei capitali stranieri gli unici mezzi di possibile sostentamento. Quella raccontata da De Angelis è una realtà che si sta costruendo sotto i nostri occhi (sono di questi giorni le notizie di aziende cinesi che comprano fette del nostro debito pubblico) e che lui rielabora giocando coi registri, alternando ironia e noir, farsa e violenza, Gomorra e Vincenzo Salemme. E il gioco gli riesce, grazie a una sceneggiatura abile nel dare compattezza ai molti rivoli (solo la sotto-trama di Dudo, con tanto di divagazioni oniriche, è di troppo) e a destreggiarsi disinvoltamente nei suoi capitoli stilisticamente differenti, e a una regia che preferisce l’eccesso al rischio della piattezza, riuscendo però a cogliere un lato kitsch e bizzarro realmente presente nella cultura casertana. E se eccedere significa presentare un Gianpaolo Fabrizio (il Bruno Vespa di Striscia la notizia) in versione Brando, che muore tra le bufale declamando un monologo shakespeariano, o una Luisa Ranieri che va verso la vendetta in abiti da fantino sadomaso, armata di nerbo, allora ben venga l’eccesso.

    EMANUELE RAUCO

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