Multiplex

Stefano Calvagna, con un cast di giovanissimi, si dedica al thriller guardando ai B-Movies d'epoca. Ma la sciatteria rovina le intenzioni.

A Stefano Calvagna non si può negare la passione per il proprio lavoro, che a volte l’ha portato a risultati molto discutibili, ma che non lo fa tirare indietro di fronte a nulla. Nemmeno di fronte a Multiplex, prima escursione nel thriller puro, nata dall’idea della catena UCI Cinemas che gli ha proposto la sfida di girare in sole 2 settimane, in unico ambiente, dalle 7 alle 14. Il risultato è un prodotto che ha dell’interesse teorico e produttivo, ma che inciampa sulle questioni cinematografiche.
Appena uscito da un forte esaurimento nervoso, il ventiduenne Niccolò decide insieme a Viola, la sua più cara amica, di andare a vedere un film thriller. Insieme ad altri quattro amici si incontrano nel più grande multiplex della città. Raggiunto il gigantesco complesso, i ragazzi si imbattono nel guardiano del cinema, un uomo che considera sua missione mantenere l’ordine all’interno del multisala. Dopo aver assistito al violento film, il gruppo decide, per gioco e per sfida nei confronti del guardiano, di passare la notte nel cinema, nascondendosi all’interno di esso dopo l’ermetica chiusura della struttura. Così i sei rimangono volontariamente intrappolati nel multiplex assieme all’ambiguo guardiano, il quale però nasconde un macabro segreto. Scritto dallo stesso Calvagna, Multiplex è un classico thriller sulla sponda slasher, in un unico ambiente, con ragazzini che muoiono come mosche e varie sorprese finali, girato con un occhio ai classici “bis” del cinema italiano (soprattutto Fatal Frames di Festa) e l’altro alle tecnologie digitali e portatili contemporanee.

Senza ritocchi in studio, girato a Parco Leonardo, il più grande multiplex d’Italia, il film di Calvagna cerca una doppia sfida teorica, per arricchire il prodotto: da una parte una riflessione ironica sul modo in cui i ragazzi fruiscono il cinema, come luogo magico, distante, inusuale, che non fa più parte delle loro abitudini come invece i cellulari e i pc (e infatti i rimandi alle micro-tecnologie non mancano); dall’altra, ricreare proprio attraverso queste tecnologie (il film è girato con una videocamera, con troupe leggerissima) gli inciampi ma anche le trovate creative del cinema a cui s’ispira e il fatto stesso che il film sia stato scritto, girato, montato e distribuito in soli 6 mesi riporta poi a un’epoca più ingenua, ma anche più gloriosa del cinema italiano. Questa caratteristica di Multiplex diventa però il suo principale limite: le modalità produttive e realizzative limitano così il potenziale del film a cui Calvagna non sa fare fronte con le sue sole risorse creative.
E così la sciatteria e la necessità di risparmio non diventano stimolo ma peso, rendendo molto difficile la creazione di suspense attraverso il mezzo cinematografico (solo l’omicidio dietro lo schermo funziona in questo senso). Il resto di Multiplex è un impianto che qua e là sembra semi-professionistico, anche per le prove degli attori, giovanissimi e inesperti (fa eccezione Laura Adriani, credibile nel ruolo della timida insicura eppure sessualmente aggressiva), e le musiche elettro-rock del ritrovato Claudio Simonetti: un progetto curioso che dimostra ancora una volta che Calvagna vuole muoversi su solchi indipendenti e non banali. Ma che spesso gli manca l’abilità necessaria per conquistarli fino in fondo.

EMANUELE RAUCO