Oggetti smarriti

Giorgio Molteni dirige uno sconclusionato ibrido tra intimismo esistenziale, commedia e fantasia intellettualistica. Un sottoprodotto della peggior fiction tv che esce tardivamente, sul finire della stagione, sotto le insegne di Microcinema.

Follie della distribuzione italiana, nuova puntata. Giorgio Molteni – un inizio lontano da regista cinematografico e un seguito diviso tra cinema invisibile e televisione inguardabile (tra gli altri Capri2, Centovetrine, La squadra) – inizia a lavorare nel 2010 al suo lungometraggio cinematografico. Il film è pronto nel 2011, anno in cui vince un premio al Giffoni Film Festival: c’è chi lo chiama una commedia familiare con risvolti fantastici, chi parla di fantasy intimistico, chi di dramma da camera allucinato. Fatto sta che due anni più tardi, nel 2013, Microcinema, benemerita società di distribuzione, decide che questo inconsueto prodotto cine-televisivo difficilmente definibile merita un investimento che lo porti nelle sale.

E’ tutt’altro che banale riassumere in sintesi la storia riuscendo a riprodurne tutte le tortuose e incomprensibili micro e macrodeviazioni: anni ’70, un bambino e suo padre giocano per la strada quand’ecco l’uomo viene improvvisamente investito e ucciso (forse, ma non è sicuro né si trova traccia di conferma lungo il film); giorni nostri, un architetto ricco e bello – il bambino dell’incipit, cresciuto –  ha appena finito di allestire la sua casa-garconierre in una zona centrale di Savona e si prepara a una notte di sesso sfrenato avvitando un ampio specchio sul soffitto della camera da letto, ma alla porta si presenta l’ex moglie con la loro figlioletta Arianna. Già, prima però c’è anche dell’altro: un uomo – che non si sa bene chi sia – si aggira in divisa (da man in black? Da iena? Decidete voi) ragionando sul fenomeno dello smarrimento degli oggetti nella routine di ogni giorno e illustrando – sguardo fisso in macchina – le sette regole auree utili a uscire dall’impasse dello smarrimento degli oggetti della quotidianità. Il resto – tra vicine di casa lascive, apparizioni e sparizioni misteriose e immotivate, battute infelici e vaneggiamenti pseudo-cervellotici – non è meno goffo e rocambolesco di così. Come parlare allora di un film già in origine anomalo e stralunato che – nelle mani di Molteni – diventa a dir poco schizofrenico e paradossale?

Scene, costumi, musiche son tutti da mani nei capelli: brutta senza essere inquietante la Savona scelta dal regista, bruttissima la casa Ikea dove è ambientato quasi tutto il film; banali fino al cattivo gusto le scelte degli abiti (imbarazzante il pigiama succinto ma bambinesco della vicina sexy); le musiche – alcuni pezzi sono da denuncia per plagio – sembrano seguire la schizofrenia delle scelte registiche, colorando di toni comici scene in teoria drammatiche o caricando di tensione e attesa scene del tutto innocue.

Sembra che Molteni abbia messo mano a un progetto non suo con poca attenzione e senza troppo studio. Il cast – scelto per la maggior parte tra le fila, purtroppo molto mal guarnite, della schiera di “attori” televisivi – è visibilmente in difficoltà, stretto da una parte da una direzione degli attori per lo meno poco precisa, dall’altra da una sceneggiatura maldestramente manomessa dal regista. L’arbitrio regna sovrano senza che una scrittura sottile, solida, compatta ci costruisca dentro un’indispensabile coerenza e senza che una regia lucida ed esatta metta ordine e renda leggibili le idee vaghe e velleitarie che proliferano incontrollate dentro una narrazione “variopinta”, che trascorre disinvoltamente dalla commedia al film di situazione, dal dramma intimista al racconto fantastico e sovrannaturale.

Se questo è il cinema indipendente che vuol costruire un’alternativa al mainstream delle commedie preconfezionate, dei cinepanettoni e cinecocomeri, dei film corali triviali e squinternati, significa che un’alternativa al peggio – triste dirlo – semplicemente non c’è. Per fortuna questo non è l’unico cinema indipendente prodotto in Italia, anche se è quasi solo questo che la distribuzione si ostina a far circolare nelle sale. Onore e rispetto per il coraggio di Microcinema, ma non sarebbe più saggio, soprattutto in una congiuntura tanto delicata e difficile, investire in maniera più oculata e ponderata le poche risorse a disposizione invece che procedere apparentemente senza un progetto chiaro, passando da un tentativo “eccentrico” all’altro?

SILVIO GRASSELLI