Padrenostro con interviste a Noce e Favino, Pieces of woman, Greta

In concorso due film sulla rimozione: Padrenostro, il film-lettera d'amore di Claudio Noce al padre con Pierfrancesco Favino e Pieces of a woman di Kornél Mundruczò con Vanessa Kirby. Fuori concorso il documentario su Greta di Nathan Grossman, sull'attivista svedese. 
Intervista a Claudio Noce a cura di Giovanna Barreca
Intervista a Pierfrancesco Favino a cura di Giovanna Barreca

“L’idea di poter rendere un film o comunque una storia questo fatto che è realmente accaduto alla mia famiglia è qualcosa che vive con me da tanto tempo. La difficoltà maggiore era pensare a come raccontarla, trovare un punto di vista perché diventasse una narrazione universale” ha affermato Claudio Noce, presentando Padrenostro, in concorso alla 77esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.  Il regista aveva solo due anni quando nel 1976 il suo babbo Alfonso, uomo di stato, subì l’attentato da parte del Nap, Nuclei Armati Proletari e ricorda il senso di paura che percepì e che lo accompagnò negli anni. Nel film il protagonista Valerio (Mattia Garaci) ha l’età del fratello maggiore del regista, vide e subì l’attentato e dai suoi occhi si entra e si segue il viaggio di formazione che traghetterà il giovane nell’età adulta.

Valerio ha 11 anni e non riesce a capire bene cosa sia successo, sa disegnare benissimo cos’è accaduto perché il disegno è la sua forma espressiva più congeniale ma quando al suo ritorno a scuola la maestra lo presenta come “figlio di un eroe” e un paio di compagni in mensa lo bullizzano chiamandolo “figlio di un infame”, Valerio che usa il disegno e la fantasia anceh come rifugi privati e segretissimi, inizia un viaggio tutto personale per capire chi sia davvero, chi sia infame e chi sia eroe in questa guerra dichiarata dagli adulti; così arriva Christian nella sua vita.

Nel film c’è il viaggio di formazione di Valerio e quello di consapevolezza di suo padre (Pierfrancesco Favino) che devo trovare il coraggio di non aver paura di mostrare la sua paura al figlio. Favino ha affermato: “Tre anni e mezzo mentre Claudio mi raccontava questa storia vedevo me, mio padre, la mia infanzia. Mi si riaffacciavano le stanze, gli odori e quei bambini che quando andavano a letto non esistevano più perché si dava per scontato che non capissero, non vedessero, non sapessero”.  Genitori di figlio oggi cinquantenni che un uomo che ha il coraggio di mostrare al figlio le proprie debolezze.

Forse la storia sarebbe stata più interessante e meno pretenziosa se nella narrazione non si fosse cercato di inserire forzatamente anche Christian perchè è abbastanza palese che i figli degli uni condividessero gli stessi bisogni infantili degli altri. Forse il viaggio di consapevolezza del bambino poteva essere legato alla scoperta più diretta del mondo del padre e su quello che erano quegli anni, il messaggio che circolava in quel periodo per come lo poteva capire e percepire proprio un bambino. Scandagliare più profondamente, proprio attraverso i non detti, i mancati abbracci, la mancanza di tenerezza e – come afferma Favino: “quel non mostrare mai la sofferenza perché lì stava l’educazione alla forza che il maschio avrebbe dovuto avere dopo di loro” – , il misterioso rapporto tra padri e figli. Guardare in faccia quella paura, anche perché il regista, rispondendo ad una nostra domanda, afferma una grande verità: “Quando un genitore mostra la sua paura, rende libero anche il figli di mostrarla”.  Ecco, se il regista ha definito il film una lettera d’amore mai spedita al padre (e viceversa), forse avremmo voluto che fosse più diretta, in entrambe le direzioni. Sempre a pulire e semplificare sarebbe giovato al film un uso più misurato della macchina da presa con inquadrature più larghe, invece di giocare su così tanti primi/primissimi piani e movimenti di macchina meno frenetici.

Le madri vengono escluse da questo rapporto esclusivo e forse non era necessario il dialogo così esplicito dove la donna chiede il perché e il figlio le risponde: “Perché non sei papà”.

Una curiosità. Il regista spiega così il titolo: “Padrenostro perchè il personaggio del padre vive anche nell’assenza ed era importante per noi ricordarlo anche nel titolo”.

Il film sarà nelle sale il 24 settembre.

Data ancora da stabilire invece per Pieces of a woman di Kornél Mundruczò con Vanessa Kirby, altra possibile Coppa Volpi in un’annata con tantissime straordinarie interpretazioni femminili. L’attrice è Martha che nella primissima scena del film sta per mettere al mondo la sua prima bambina con un parto in casa. Con la donna c’è l’innamoratissimo marito Sean (Shia LeBenouf) e, in un secondo momento, arriva un’ostetrica. Da quella notte cambierà tutto per la coppia e il film mette in scena le conseguenze di ciò che accadde portando lo spettatore in un viaggio di rinascita di una madre. Un film intenso nella scelta di inquadrature che non permettono allo spettatore di allontanarsi mai dalla donna e dalla sua vicenda, che costringono tutti a leggerne i suoi più intimi sentimenti e vedere gli appigli che la donna usa per sopravvivere. Tanti saliscendi emotivi che però non mettono mai lo spettatore – come invece era facilissimo fare – in una posizione di ricatto emozionale; siamo portati in un viaggio tra amore, dolore e ancora amore.

Anche la scelta di una Boston invernale fatta di grigi che entra il profondo contrasto con il giallo ocra molto caldo e avvolgere della casa vista nella prima scena è tra gli elementi che maggiormente abbiamo apprezzati.

Come per il film di Noce anche qui c’è un’elaborazione perché se Noce ha rimosso e poi elaborato l’attentato del padre, il regista ungherese Mundruczo – alla sua prima opera in lingua inglese dopo i successi di Delta, White God e Una luna chiamata Europa – in Pieces of woman racconta la vicenda realmente accaduta a lui e alla moglie.

Siamo volutamente molto vaghi anche se la sinossi ufficiale svela cosa accade quella notte alla coppia perché, quando il film arriverà nelle sale, nessuna possa conoscere ciò che accade nella scena iniziale e viverla appieno con i protagonisti.  Solo così crediamo si possa entrare in vera sintonia con la protagonista.

Fuori concorso Greta di Nathan Grossman è il film che lo spettatore che ama l’attivista si aspetta di vedere e che lo spettatore che ignora il percorso della studentessa svedese può imparare a conoscere e ad amare. Per l’anno sabbatico che l’ha portato lontano dalla scuola e dalla sua famiglia (ha sempre viaggiato solo col padre) la giovane quindicenne ha incontrato e discusso della questione climatica con i capi di stato dei paesi più influenti del mondo, ha incontrato i tanti attivisti che sul pianeta, proprio grazie alla sua lotta, hanno capito che la questione climatica non è una questione rimandabile e hanno creato un movimento globale. Con una macchina sempre così vicina al suo volto, dopo mesi di convivenza, il regista Nathan Grossman riesce anche a catturare tutte le fragilità di una figura così affascinante rendendola più umana e più vera. La rabbia che spesso le è servita per farsi ascoltare da chi non aveva capito la sua protesta silenziosa, iniziata con gli scioperi del venerdì, qui lascia lo spazio anche allo sgomento quanto scopre che al summit Onu sulla condizione climatica servono pochissime portate vegane, la paura quando si ritrova in una piccola barca a vela pronta ad attraversare l’Oceano per raggiungere New York per l’incontro all’Onu, di tenerezza nelle video chat con i suoi amati cani e la madre. La spiccata sensibilità di una ragazzina con la sindrome di Asperger che si ritrova coinvolta in qualcosa di planetario, da lei creato, emerge ed emoziona. Imbarazza vedere il controcampo dei suoi discorsi quando i politici non la ascoltano, giocano con il telefonino, guardano altrove ma poi sono pronti per la foto di rito.

Il montaggio privilegia un’idea molto bella legata a questa giovane donna, quella del movimento. Se il suo corpo è stato sempre in viaggio la cosa più affascinante da vedere nel documentario è stato scoprire come le sue idee, i suoi pensieri, l’elaborazione di essi viaggiasse e si muovesse ancora più velocemente, ancora più appassionatamente senza alcuna paura ma con forza e determinazione, consapevole che non c’è più tempo e la possibilità di aspettare in un mondo che sembra così paralizzato nelle sue abitudini, nella sua alimentazione onnivora, in idee politiche vecchie di 200 anni.

Nathan Grossman, svedese di soli 29 anni è stato scelto per questo enorme lavoro (oltre 100 ore di girato) perché è stato tra i primi a filmare, seguire e raccontare lo sciopero di Greta per il clima (Fridays Fort Future) che mentre scriviamo ha superato le 100 settimane senza che nulla (o ben poco) sia cambiato. “Il coronavirus ha solo peggiorato la situazione” afferma la stessa protagonista in collegamento dalla sua scuola direttamente con la Biennale cinema, tra una lezione e l’altra.

giovanna barreca