Parola al Cinema

25/02/11 - Amore e altri rimedi di Edward Zwick: quando il mainstream americano impazzisce...

Parola al Cinema – Uno sguardo sulla sceneggiatura

Amore & altri rimedi di Edward Zwick: quando il mainstream americano impazzisce, e si assembla il racconto per incontrare tutti. E magari non s’incontra nessuno

(Rubrica a cura di Massimiliano Schiavoni)

parola-al-cinema_def25/02/11 – A volte il mainstream americano degli anni 2000 lascia davvero a bocca aperta. E non per sommo stupore artistico (figuriamoci…), ma per il totale sbrindellamento del metodo industriale che pure ha caratterizzato il modus di scrittura di sceneggiature dacché il “system” hollywoodiano ha visto la luce. Oramai sempre più spesso gli script si scrivono per sommatorie, bilanciando di volta in volta gli ingredienti a cui si vuole attingere e il target di pubblico che ci si è prefissati. Nei casi più scaltri, il tentativo di “acchiappo” è mirato al pubblico più eterogeneo, e si butta dentro un po’ di tutto. Capita anche che le sceneggiature americane scritte col bilancino producano opere piacevoli, specie nel genere di commedia brillante/romantica/drammatica (maestro è stato ed è James L. Brooks, che da Voglia di tenerezza a Qualcosa è cambiato ha costruito racconti apprezzabili e scaltrissimi, ostentatamente amabili e per questo anche inarrivabilmente irritanti). Capita anche, e negli ultimi anni sempre più di frequente, che la giustapposizione di nuclei narrativi del tutto eterogenei si tramuti in opere “folli”, insensate, che non stanno in piedi neanche con la colla a pronta presa.

Amore & altri rimedi è davvero un esempio eclatante di tale corrida creativa (creativa?). Racconto capace di coniugare la commedia demenziale di derivazione American Pie al melodramma lacrimoso sulla scia di Love Story e figli, la presa di coscienza e maturazione (il “viaggio dell’eroe” che tanto piace agli Stati Uniti) al tentativo più fasullo e sciroccato di critica sociale. Il film sarà pure ispirato a un romanzo non-fiction, ma la forma che ha assunto in cinema è quanto di meno vero si possa immaginare. E non per il suo ripiegamento sui canoni, edulcorati e di genere, della commedia hollywoodiana, ché anzi il personaggio di Maggie mostra asperità e rabbie poco “accettabili” in tale contesto, e pure le scene di sesso conservano una loro brutale verità. Quanto perché al nucleo principale della storia d’amore si accompagnano altri nuclei del tutto fuori luogo. Dolente e reale, e anche meno banale di prodotti affini, nell’affrontare il tema della malattia, il racconto si perde insensatamente nelle parentesi grevissime sul fratello di Jamie, e si fa ipocrita fino al parossismo nella narrazione del cinismo delle case farmaceutiche (alla Pfizer saranno pure cattivi, ma intanto il marchio campeggia in dettaglio in decine d’inquadrature… roba da far impallidire il goffo product placement all’italiana). In più, risulta del tutto fasulla la costruzione del protagonista. A qualcuno davvero interessa il “viaggio dell’eroe” di un dongiovanni che scopre di avere un’anima perché le case farmaceutiche sono cattive e perché s’innamora di una malata di Parkinson? Al di là dell’interesse del pubblico, il dato più saliente è che il racconto non sta insieme sotto nessun punto di vista. Se il giovane annegato nel popcorn ride a crepapelle per lo scemo della situazione che si masturba vedendo un vhs dove suo fratello (!) fa sesso con la ragazza, la signora attempata si accora per la povera Maggie. Questa, in fondo, è la necessità narrativa che ha motivato sceneggiatori e regista. Giustapporre per blocchi con finalità di cassetta, non costruire per narrare. Esempio perfetto della deriva peggiore di una parte del cinema americano.