Priest

01/06/11 - Dopo Legion, Paul Bettany torna in un nuovo incubo apocalittico fanta-religioso, virato al western. Povero d'idee ma non di divertimento.

Più che una moda un vizio: sempre più spesso i maghi degli effetti visivi finiscono dietro la macchina da presa. Una volta succedeva lo stesso, solo che gli effetti visivi stavano tutti (o quasi tutti) sulla pellicola e allora a fare il grande salto erano i direttori della fotografia, gli operatori con le idee più chiare in testa. Oggi invece succede che Scott Charles Stewart, dopo aver consolidato la carriera da tecnico accanto a Tarantino, Woo, Burton, Rodriguez e mettendo mano ad alcuni tra i maggiori blockbuster degli ultimi quindici anni, decide di esordire alla regia di lungometraggio. E lo fa con un fantasy apocalittico a tema religioso retto tutto o quasi tutto dalle ossute ma solide spalle di Paul Bettany: era il 2009, era Legion. Due anni più tardi la coppia Stewart-Bettany torna sugli schermi con un horror, intrecciato alla fantascienza e corretto con il western. Una saga epica che cita a piene mani dalla tradizione della sci-fi statunitense ma che s’ispira, per la materia narrativa, all’omonima graphic novel del coreano Hyung Min Woo.

L’avventura – a metà tra epopea fantasy e mitologia western – di un cacciatore di creature demoniache, il migliore della sua “setta” (i preti, appunto, sorta di monaci guerrieri, uomini e donne, dotati di capacità al limite del sovrannaturale), che torna a combattere quando scopre la ricostituzione della minaccia all’umanità. Azione survoltata, vampiri e una bella collezione di significanti religiosi: così Stewart torna a lavorare sul suo personale modello di racconto fantastico. Visivamente allettante, accurato ma non particolarmente inventivo, Priest avanza lasciando in secondo piano tanto i dialoghi quanto le azioni in senso stretto, concentrandosi invece sulla costruzione di scene, di quadri mobili che tentano di sfruttare a proprio vantaggio l’origine grafica del film. La scrittura è povera, i personaggi sono poco più che bozzetti, e nonostante la presenza di Bettany e di Karl Urban – sempre più stabilmente impegnato nel cinema fantastico – il cast (c’è anche l’herzoghiano Brad Dourif) non riesce a occupare degnamente le immense scene che Stewart gli disegna intorno. Nonostante tutto ci si diverte più di quello che ci si potrebbe aspettare, più di quanto non succeda con titoli riconosciuti come successi. Potenza del cinema di serie B.

SILVIO GRASSELLI

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