Professione Assassino

27/07/11 - Molta azione e poco thriller nel remake del film del '72 con Charles Bronson, che non regge il paragone con l'assassino dagli occhi di ghiaccio.

È proprio arrivata l’estate. E non è dall’afa che lo si capisce, ma dai fondi di magazzino che cominciano a transitare sui desertici schermi nostrani. Uno di questi può essere considerato il gloriosamente rude Professione Assassino: action con qualche sparuto elemento di thriller tutto sangue e vendetta, come tanti se ne sono visti nelle passate stagioni vacanziere (viene in mente Giustizia Privata, ma anche molte altre variazioni sul tema) se non fosse che stavolta si tratta nientemeno di un remake, e soprattutto del remake di una pellicola interpretata da un attore di culto come Charles Bronson. Il film è del ’72, diretto da quel Michael Winner che con la stessa star firmerà la serie del Giustiziere della notte, con cui The Mechanic (titolo originale anche del rifacimento del 2011) ha più di un punto in comune. Fotografia scurissima, fascinazione esplicita per la morte e la perversione dell’assassino, diffidenza verso la sregolatezza giovanile e tensione costante data da colonna sonora e montaggio sono infatti tra le caratteristiche succulente di un thriller meravigliosamente intriso di anni ’70, dal sottofondo retrogrado ed esagerazioni spesso vicine al grottesco, ma proprio per questo ancora più divertente da rivedere oggi. Quando capita, ormai, di imbattersi in un killer dagli occhi di ghiaccio che nello stesso film si aggira tra i freak di notti inquietanti e tenebrose, si infila in improbabili mute da sub come il migliore dei James Bond e accarezza un quadro di Bosch?

E in fondo è proprio qui il limite dello stentato rifacimento firmato da Simon West (già regista di opere non proprio d’atmosfera come Con Air e Tomb Raider), che oltre a sostituire Bronson con l’insipido e roco Jason Statham, scopiazza pedissequamente alcuni passaggi della trama del primo Professione Assassino senza coglierne affatto l’essenza. La storia è più o meno la stessa: un sicario metodico e solitario, specializzato in eliminazioni pulite e asettiche, decide di prendere con sé come proprio allievo il figlio di una delle sue vittime, un po’ per impeto paterno e un po’ perché affascinato (nel remake in realtà preoccupato) dalla sua sete di sangue e dal suo innato istinto di morte. Proprio quando il loro rapporto sembra funzionare, l’organizzazione criminale per cui lavorano gli si rivolta contro innescando una caccia all’uomo in cui i due killer sono al contempo preda e bracconiere. Se le direttrici di svolgimento sembrano identiche, in realtà sin dall’incipit si aggiungono pietismi di vario genere che tolgono spessore e coerenza al protagonista, in origine freddo e senza alcun tipo di scrupolo affettivo o morale, qui invece tutto preso dal senso di colpa e dal desiderio di vendetta. A dare più fastidio è però il miscuglio di registri e riferimenti, che azzerano il thriller in favore dell’action (addirittura con inserti di splatter) e di un immaginario molto più vicino a Lo specialista di Stallone che al personaggio compulsivo ed enigmatico di Bronson. Il risultato è un film dove la caratterizzazione dei personaggi non si sposa con le loro azioni e soprattutto con il mondo in cui si muovono, a scapito della riuscita dell’intera pellicola. Se poi aggiungiamo che l’originale del ’72 è girato in parte in Italia e si conclude quasi con le parole “vedi Napoli e poi muori”, si capirà come anche sul campo del trash lo scult di Winner vinca per k.o. E per chi nella calda estate cinematografica dovesse sentire comunque una voglia implacabile di azione nuda e cruda senza tanti fronzoli, ci sono sempre i cari vecchi anni ’90, magari in VHS.

LAURA CROCE

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