Questo è un uomo – intervista a Marco Turco

Sabato 30 gennaio su Rai 1 e poi su Raiplay il nuovo film di Marco Turco, co-sceneggiatore con Salvatore De Mola e interpretato da Thomas Trabacchi che sa far emergere tutta l'umanità del lager che mai dimenticò l'esperienza del lager. Ottimo il ritmo del montaggio che unisce i tre livelli narrativi del film. La nostra intervista al regista.
Intervista a Marco Turco a cura di Giovanna Barreca

Maggio 1986. Abeti altissimi, un fiume che corre impetuoso e, piccolo – immerso nella bellezza della valle –, un uomo cammina da solo, zaino in spalla e passo deciso. Il camminatore è lo scrittore Primo Levi da sempre grande appassionato di montagna e dei percorsi in solitaria, scelti anche quando l’età avrebbe consigliato maggior prudenza.

Usando questa passione nota, lo sceneggiatore Salvatore De Mola ha immaginato di presentare il protagonista all’inizio di Questo è un uomo di Marco Turco, in onda su Rai 1 il 30 gennaio alle 22.45 e disponibile su Rai play.

Sempre più immerso nella vastità di una valle verde e luminosa, nell’affrontare la salita di un crinale Primo cade, provocandosi una distorsione alla caviglia. Non si perde d’animo e, nonostante sia solo in mezzo al nulla, grida ripetutamente aiuto. A soccorrerlo, qualche ora dopo, arriva un altro camminatore solitario, un suo coetaneo, magro, dall’accento tedesco, un po’ taciturno che lo aiuta a camminare e lo porta, per le prime cure, alla sua baita. L’incontro con quest’uomo che non sa nulla della notorietà di Levi, del suo tatuaggio sul braccio, è un perfetto escamotage narrativo perché lo scrittore inizi a raccontare la sua vita (e farla conoscere così anche allo spettatore). Inoltre il tutto è costruito come un thriller psicologico perché la conversazione si svolte nello spazio angusto della piccola stanza in legno e pietra, poco illuminata e il dialogo e gli scambi di sguardi tra i due creano una forte e coinvolgente tensione.

Marco Turco mescola sapientemente a questo livello narrativo di finzione, altri due livelli: quello della testimonianza di studiosi (e in alcuni casi amici) dello scrittore e quello delle testimonianze di repertorio, rilasciate da Levi nelle diverse interviste, in periodi diversi della sua vita: in occasione della pubblicazione dei suoi romanzi o durante i viaggi verso Auschwitz con gli studenti. Il tutto perfezionato in fase di montaggio.

Come ha detto anche ai nostri microfoni il regista: “Abbiamo raccontato il Primo Levi più umano, il Primo Levi uomo che ha vissuto l’esperienza del lager. Pochi mesi che hanno segnato per sempre la sua esistenza e la sua carriera di scrittore”. Ed è proprio nella capacità di far capire agli spettatori quando quella tragica esperienza abbia segnato la sua esistenza sta il maggior pregio del film, tutto costruito sul concetto del doppio sogno. I sopravvissuti fissero chiedendosi: la vita vera è ancora il lager o quella vissuta con cari e amici in città libere?

Levi ricorda che vide cose così oscene nel lager che persino i carnefici, schernendo tutti i prigionieri, erano convinti che nessuno avrebbe creduto ai loro racconti, se mai qualcuno fosse riuscito a tornare a casa.

E nel film si raccontano bene i due passaggi della sua vita dove dovette affrontare chi non solo non voleva credere o peggio, non voleva più ascoltare. La prima quando, alla fine della Seconda guerra Mondiale, provò a pubblicare subito il suo “Se questo è un uomo” ma gli venne risposto: “La gente ha voglia di futuro e non di passato” e quando, negli anni Ottanta l’Europa conobbe i negazionisti dell’Olocausto. “Noi siamo ancora in vita e c’è che nega ciò che abbiamo vissuto” si troverà a dire a un’amica.

Levi, in entrambe le occasioni, rispose continuando a raccontare, a testimoniare, ad accompagnare gli studenti a vedere con i loro occhi dove trovarono la morte milioni di persone, milioni di ebrei, zingari, omosessuali e dissidenti politici. Un impegno per non dimenticare, per fare in modo che quella Memoria fosse condivisa e tramandata.

Nel film c’è spazio anche per il Levi non ideologico e molto critico nei confronti di Israele: “Visto che siamo stati vittime non possiamo fare quello che vogliamo”, scrisse, raccogliendo molte critiche soprattutto dagli ebrei.

E non viene dimenticata neppure la sua ironia: “Il sorriso è un atto di pensiero”. E nel film Thomas Trabacchi sa far emergere questa inclinazione dello scrittore. Ma l’attore è sorprendente soprattutto quando fa emergere tutta la determinazione e la fragilità di un uomo che non ha mai smesso, come tutti i sopravvissuti, di avere paura.

Un film nel quale immergersi e comprendere un pensiero, uno stato d’animo, un vivere.

giovanna barreca