Rabbia in pugno

Con Rabbia in pugno, Stefano Calvagna torna al cinema drammatico, tra genere e intimismo, che gli si confà, anche con i suoi difetti.

A poche settimane dall’uscita di Multiplex, arriva nelle sale italiane Rabbia in pugno, film di Stefano Calvagna girato nel 2011 durante gli arresti domiciliari del regista e in uscita nell’estate italiana: un ritorno alle atmosfere di borgata tipiche del regista, tra cinema di genere e dramma più personale, ispirato a una storia vera.
A Valerio, un poliziotto campione di kick boxing, la vita non poteva andare meglio: un rapporto fraterno con Fabrizio, un amico inseparabile, e l’amore con Valentina, una giovane e bellissima ragazza da cui stava per avere un figlio. Mentre tutto sembrava andare per il meglio, un tragico evento sconvolge la sua vita. Valentina durante un incontro in una discoteca con Sergio Bruschi, un losco produttore cinematografico, perde la vita per l’ignara assunzione del ghb, la droga dello stupro. La polizia brancola nel buio e Valerio, accecato dalla rabbia, decide di farsi giustizia da solo. Scritto da Calvagna con Giovanni Galletta, Rabbia in pugno è un dramma d’azione, in cui il film di vendetta diventa sfacciato B-Movie romanesco, raffazzonato forse, ma genuino.

Girato da Calvagna tutto nella palestra del protagonista Claudio Del Falco, complesso nel quale il regista ha dovuto ricostruire tutti gli ambienti del film a causa delle limitazioni impostagli dalla detenzione, il film racconta la cultura delle palestre, delle arti marziali, della forza fisica come veicolo spirituale all’interno di un contesto sociale proletario e borgataro, rozzo e spudorato nella sua fierezza politica, nelle sue radici, ma anche nella consapevolezza della fine di un mondo (“Ormai di comunista c’è rimasta solo Viale Palmiro Togliatti”, dice l’amico di sinistra del protagonista), come già il precedente film autobiografico del regista Cronaca di un assurdo normale lasciava intendere. Calvagna si concentra nuovamente infatti su quella umanità marginale raccontata con turgore e allo stesso tempo con uno stile secco, con pochi fronzoli e dal ritmo abbastanza teso.
Peccato che Rabbia in pugno perda mordente sul più bello, il tono si sfilacci e si noti come le scene d’azione appaiano raffazzonate, comprensibilmente dati i limiti produttivi e realizzativi, con quel sotto-finale sportivo e spirituale che pare buttato un po’ a caso. E resta poi quel limite del cinema di Calvagna, rappresentato dalla scelta degli attori e dalla loro direzione, sempre carente anche negli ultimi film, i suoi migliori, quelli in cui la mano del regista e la concezione complessiva del progetto sono tangibilmente più consapevoli. Ma in ogni caso Rabbia in pugno è un prodotto verace, che sa anche divertire e che se avesse avuto più coraggio (si veda Del Falco con la katana), sarebbe potuto diventare un piccolo culto.

EMANUELE RAUCO