Bangland

Steven Spielberg presidente degli Stati Uniti? Direbbe qualcuno, beh, se lo ha fatto Reagan… Qui però non si tratta di fantapolitica, ma di un mediometraggio d’animazione del giovanissimo Lorenzo Berghella, presentato tra i Progetti Speciali alle Giornate degli Autori di Venezia 72.
Bangland, come la Sin City di Miller, è un coacervo di tutte le nefandezze prodotte dalla società umana occidentale ai nostri giorni. Presidenti guerrafondai e razzisti, telepredicatori assassini, preti pedofili, poliziotti psicopatici e ancora malavitosi, autori televisivi e finti terroristi. Tutti fili riuniti all’interno di una cornice che vede gli Stati Uniti, guidati da Spielberg, impegnati in una guerra contro il fantomatico stato africano di Mahaba, metafora neanche troppo velata del Medioriente che tutti conosciamo.

Bangland

Bangland

Le citazioni si sprecano ma sono ben innestate nel tessuto narrativo e non generano fastidio, così come gli ascendenti derivano dai settori più disparati della cultura europea e americana: teatro, rock, cinema e fumetto, Ari Folman e Garth Ennis. Berghella dimostra di essere un autore colto e, nonostante la giovane età, ambizioso. Bangland è una scommessa sostanzialmente vinta che sceglie il noir metropolitano bruciante d’attualità per gettare uno sguardo disperante sull’uomo contemporaneo, dilaniato dalla paranoia e dalla violenza. Se buono, infine, è il livello dell’animazione, uniche note lievemente stonate sono il doppiaggio enfatico, che a volte smorza la carica delle immagini, e la narrazione eccessivamente concentrata che richiederebbe, in alcuni snodi della trama, maggiore respiro.

Gianfrancesco Iacono per cinematografo.it