I vichinghi

Dopo un approdo di fortuna in un ostile lembo di Scozia, un gruppo di vichinghi fuorilegge si troverà prima a fronteggiare l’intero esercito del re, poi sequestrerà la figlia del reggente, quindi s’imbatterà in un monaco guerriero, infine dovrà sfuggire a un branco di spietati mercenari – chiamati a scanso d’equivoci i “Lupi” – mandati dal sovrano a toglierli di mezzo.
Piatta rivisitazione della mitologia norrena, I vichinghi offrono un’ora e mezza di evasione a encefalogramma piatto, di mari in tempesta, foreste in fiamme, polvere, spade, frecce e teste mozzate.
I magnifici scenari di Capo di Buona Speranza (Sudafrica) – dove il film è stato girato – forniscono un suggestivo background a queste avventure per soli uomini, ma il resto è noia.
La scelta di utilizzare attori poco noti – segnaliamo Charlie Murphy perché è l’unica donna, e Johan Hegg perché è il frontman della band heavy metal degli Amon Amarth – è apprezzabile ma suicida quanto a carisma. Lo script è pieno di imprevisti però avaro di sorprese, la regia anonima, l’operazione senza ironia.
Per concludere, I vichinghi stanno tra il Valhalla Rising di Refn e Le Crociate di Ridley Scott: più che una terra mezzo però, la loro è una terra di nessuno.

Gianluca Arnone per cinematografo.it