La foresta di ghiaccio

Un improvviso blackout trascina nel buio un paesino di montagna. Un guasto sta flagellando la centrale elettrica in quota. Pietro (Domenico Diele), operaio specializzato al primo incarico, viene spedito a risolvere il problema. Ma in quella terribile terra ghiacciata inizia il viaggio dentro un mistero, e ognuno nasconde un segreto: Lorenzo (Adriano Giannini), il capo tecnico con cui Pietro ha legato, si rivela il cassiere di una strana organizzazione; l’inavvicinabile guardiano della diga, Secondo (Emir Kusturica), è la bestia che guida quella banda, e la zoologa Lana (Ksenia Rappoport), studiosa di orsi, sembra anche lei nascondere qualcosa.
Dopo Good Morning Aman, Claudio Noce alza il tiro per la sua opera seconda: abbandona la metropoli e si porta in Val di Daone, nella centrale di Cimego, sulle dighe di Bissina e Boazzo, ai piedi delle cime del Gruppo dell’Adamello, in Trentino, per costruire un thriller – nelle intenzioni – marcatamente suggestivo e, come da titolo, glaciale. Il bianco che caratterizza l’intera visione è costantemente contrapposto al nero che alberga nell’animo dei vari personaggi, mai del tutto definiti, ininquadrabili per quasi tutto il corso del racconto. Dall’antefatto, che ci riporta al doloroso conflitto nei Balcani, comprendiamo poco a poco che prima o poi torneranno a galla malefatte compiute molti anni addietro: il problema del film, però, è quello di tentare troppo spesso di disorientare lo spettatore per mezzo di stratagemmi narrativi mai del tutto comprensibili. Dal punto A si arriva al punto B, è innegabile che il cerchio si chiuda, ma durante il tragitto Noce sembra preoccuparsi maggiormente di immortalare suggestioni, lasciando che “il corso degli eventi” faccia il resto. Di sicuro più ambizioso e complesso del precedente, La foresta di ghiaccio è al tempo stesso più artefatto e meno “sincero” del film d’esordio.

Valerio Sammarco per cinematografo.it